nostro inviato ad Appiano G.
Comprano tutto a velocità vertiginosa, neanche te ne accorgi, e se ci stanno in valigia, pagano in contanti. Per loro rappresentiamo un'interessante opportunità per investimenti di livello, ingegneria, automobili, telecomunicazioni, altro, tutto. Negli ultimi cinquant'anni il business fra Italia e Cina è cresciuto di oltre il 250 per cento, a Milano sfondano ovunque, non è solo la Chinatown di Paolo Sarpi a parlare cantonese, l'ex sede Unicredit di Piazza Cordusio se l'è masticata il gruppo Fosun con sede a Shanghai per 345 milioni di euro. A ruota si stanno infilando altri operatori asiatici, il 60 per cento dei grattacieli di Porta Nuova, 2 miliardi di euro, è di un fondo del Qatar. E gli asiatici dopo essersi presa metà Milano, adesso vogliono anche l'altra metà, il Milan e l'Inter. La polpa.
I sesto uomo più potente della Repubblica popolare cinese, Robin Li, 14 miliardi di dollari a disposizione, vuole il Milan. Gira la voce che in uno studio legale romano si stia trattando, da una parte del tavolo Fininvest, dall'altra la cordata cinese di Li rappresentata da un advisor italoamericano, la Galatioto Sports Group. I cinesi prima hanno recuperato notizie sulla solidità finanziaria del club contando anche le sedie di via Aldo Rossi al Portello, poi hanno buttato lì la loro proposta di investimento, quindi hanno fatto sapere le loro intenzioni future. Valutano il Milan 700 milioni e li pagano subito, rilevano inizialmente il 70% delle azioni, lasciando l'altro 30% all'attuale proprietà fino a dicembre. Sono soldi.
Ma adesso è Silvio Berlusconi che si sta informando. Vuole capire bene chi si sta comprando il suo Milan, chi sono questi investitori che fanno capo a Li e la loro solidità finanziaria. Mr Bee, un oleogramma a cui si stanno scaricando le pile, è stato una esperienza, qui non si butta via niente. Le parti stanno trattando e pare siano a buon punto, ma non ci sono tracce del Cavaliere e senza il suo consenso, non si muove neppure una delle seggiole di Casa Milan. Se i cinesi hanno fretta, il presidente vuole capire quanto vale un Milan in Europa.
Situazione in divenire, un proverbio cinese, più da interpretare che tradurre, spiega che è giusto trattare su più tavoli perché anche l'altro sta facendo altrettanto. C'è sempre un po' di mistero dietro agli affari del Dragone, all'Inter poi è il momento delle smentite, ha iniziato Massimo Moratti assicurando di non voler riprendersi la presidenza, ha continuato Pirelli negando di avere ruoli attivi in un eventuale investimento di ChemChina. Di ieri la nota del gruppo Wanda che precisa di non avere programmato l'acquisizione di quote Inter.
In realtà in Cina ogni investimento fuori dal paese è soggetto all'approvazione governativa dell'ufficio amministrazione valute estere. Ogni azienda è di proprietà dello Stato, quindi senza la benedizione del presidente Xi Jinping niente Safe, l'autorizzazione ad esportare capitali. E senza il timbro del governo è vietato anche parlarne. A Roma c'è un advisor italoamericano a trattare con Fininvest.
Ma c'è un aspetto che non si può sottovalutare, e cioè il reale scopo cinese. I 260 milioni di dollari spesi dalla chinese super league nell'ultima sessione di mercato non sono solo un record mondiale ma il segnale che Xi Jinping vuole portare il calcio in Cina e farne il futuro paese guida. Gli serve know-how, e chi meglio dell'Europa può dargliene, meglio ancora una serie A ai minimi storici di livello economico. Arrivano, comprano e spariscono, magari è vero.
Con tanti punti interrogativi, per esempio una delle aziende che sta abbinando il suo nome ai brand milanesi ha un debito pubblico di 150 miliardi di yen e solo un accesso senza limiti alle banche statali ne consente la sopravvivenza. Ma Xi Jinping non è un oleogramma e oggi tutto il movimento attorno al calcio cinese è in mano sua.
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