il commento 2 L'arbitro non comanda più È ostaggio dei «portinai»

di Filippo Grassia
Un inchino via l'altro, la leadership del primo arbitro sta andando a farsi benedire: vuoi per mancanza di personalità, vuoi per quieto vivere. Figuratevi se Mazzoleni o Valeri si mettono di traverso a Rizzoli quando il numero uno della categoria, sistemato accanto alla porta, comunica via auricolare: «Rigore, rigore». Si prenda lui, Rizzoli, la responsabilità di cambiare il canovaccio d'una partita, magari con scelte opinabili: è successo prima a Pechino nella Supercoppa Italiana, poi a Udine in Serie A. E a beneficiarne sempre la Juventus che, anche nella prima ha ricevuto in dote un rigore da un arbitro aggiunto, l'irpino Russo. A Bologna, invece, Tagliavento ha assegnato in prima persona un rigore fasullo al Milan: quanto meno non ha cercato correi, indice di personalità. Che poi abbia sbagliato, e anche di brutto, è un altro discorso.
La sperimentazione degli arbitri di porta, l'abbiamo già scritto, rappresenta un valore aggiunto, ma pone in subordine la figura del primo arbitro, specie se quest'ultimo si trova a gestire una partita con un collega di maggior nome e prestigio. E la giustificazione è sempre la stessa: «Se ha preso quella decisione, significa che aveva una visuale migliore della mia». Più o meno la frase usata in occasione di valutazioni sbagliate da parte degli assistenti sui fuorigioco: «E io come potevo contraddirlo? È lì per quello».
Siamo quindi all'arbitro che non comanda più, preso fra due fuochi: sui fuorigioco la fanno da padroni i guardalinee, sui rigori gli arbitri aggiunti.

Con la differenza che questi ultimi, muniti solo di auricolare, privi di bandierina e fischietto, appaiono al grande pubblico come quei «gobbi» che suggeriscono le battute agli attori negli spettacoli teatrali. Silenti, ma decisivi. Quando il fischio del primo arbitro, assurto a notaio, arriva in ritardo, statene certi, c'è di mezzo lo zampino del collega portinaio.

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