di Riccardo Signori
Siamo un Paese unito: nei fischi. Fischiamo dal nord al sud, senza tirarci mai indietro, esempio di civiltà sportiva come ci capita nei buuhhh razzisti. Direte, ma perché gli altri? Benissimo, cominciamo a non fischiare (gli altri di solito applaudono) e a guardare in casa nostra. Ieri a Monza Sebastian Vettel si è preso la sua razione di fischi: ha avuto il torto di battere Alonso made in Ferrari, made in Italy. Al cuor deluso non si comanda. Vero? Venerdì sera, a Palermo, l'inno della nazionale bulgara è stato umiliato dai fischi del pubblico siciliano. Invano un buon manipolo di spettatori, ed anche la panchina italiana, ha cercato di rimediare con gli applausi. Così si tifa, così si regala forza alle maglie del nostro cuore, avranno pensato quei... diciamolo con Alonso: quei geni. O scemi? Siamo un paese dal fischio facile. Lo sanno anche signore e signorine. Ma sentirsi così uniti, da nord a sud, in nome del fischio contro è almeno avvilente. O degradante. Lo sport pretende di insegnare una civiltà che spesso viene tradita, non concediamo niente agli atleti, alle sceneggiate, agli eccessi ma poi l'eccesso siamo noi: quelli che stanno in tribuna. E, per fortuna, non sentiamo chi sta davanti alla tv. È stata una settimana di fischi di troppo, di fischi malaccorti, di fischi che ti fanno venire le guance rosse: non per colpa ma per vergogna.
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