di Riccardo Signori
C'è stata ansia intempestiva, ha detto Buffon. Sì, soprattutto in Prandelli nel farlo sapere. C'è stata intempestività, semmai, nei dirigenti azzurri nell'anestetizzare la notizia. Anche per i dirigenti ci vorrebbe un Supercorso. Cesare Prandelli ha dato il via al ritiro della sua Italia regalando due notizie: una buona e una cattiva. Quella buona: dopo i mondiali in Brasile lascerà la carica da ct. Aggiungiamo un forse nel caso gli caschi in testa un vaso di geranii e ci ripensi. Quella cattiva: ora parte il tormentone sul sostituto. Sono dati in pole Allegri e Zaccheroni. Alternative: Spalletti, Conte, Mancini, Ranieri. Dipenderà da chi sarà disposto a veder paurosamente calare il suo costo di mercato. Prandelli non incassa più di un milione e mezzo e se ne dev'essere stufato.
Poco importa l'amor di patria calcistica (tralasciamo l'amor patrio), l'ambizione di allenare l'Italia finchè qualcuno-qualcosa non interrompa il feeling, il tricolore sul cuore, insomma tutte quelle oramai malinconiche motivazioni del sentimento. Contano portafoglio e un'ambizione diversa. Così è se vi pare nel mondo Italia che, nei tempi, ci aveva abituato ai ct santoni, osannati o maledetti, che fossero Pozzo e Bearzot, ma anche a Valcareggi e Vicini, cresciuti nei ranghi federali come accadeva un tempo: uomini fortemente legati a quella panca al di là di ogni altro pensiero. Poi con l'arrivo di Arrigo Sacchi siamo caduti in un mondo un po' più mercenario: quanto paghi? L'occasione per cercare il meglio del nostro pollaio, ma anche per un amor patriottico a termine. E infatti Arrigo ha salutato la compagnia appena lo ha richiamato il Milan. E dopo di lui Zoff, che si è infuriato per una critica sulla marcatura di Zidane.
il commento 2 Una panchina con poco amor patrio
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