Ma il Coni non può fare lo struzzo

nostro inviato a Londra
Siamo tornati alla Boltmania. Come dubitarne? Ma stavolta è un gioco di società, giro del mondo via Twitter. Il lampo umano ha prodotto il più gigantesco cinguettio della rete: 2360 tweet al secondo. Dalla tempesta perfetta del campione alla tempesta dei grafomani: si è scatenata 33 secondi dopo i 9 secondi e 63 centesimi dello sprint. Sono stati contati 105.000 messaggi al minuto, il quadruplo rispetto ai 9,6 milioni che ha scatenato la cerimonia d'apertura. Il suo mondo è come un reggae e la sua corsa è come un rock, nel senso che ispira emozione. Ieri mattina Bolt si è presentato nella prima batteria dei 200 metri, stadio da serata di galà (ma qui è sempre pienone), lui che fa spettacolo, la gente che se lo mangia ad ogni smorfia. Poi la corsa: sensazioni da Bolt old style, leggi Pechino: così facile che quasi non sembra vero. Tempo da allenamento (20”39) e arrivederci a stasera con la semifinale. Duecento metri da bianco (Lemaitre) contro neri (diciamo giamaicani e poco altro). Bolt ha giocato, Blake ha lasciato dietro gli avversari pescando il centesimo in meno per scavalcare Bolt nel riassunto dei tempi. C'è chi ha fatto meglio. Miglior tempo per Alex Quinonez, ventiduenne dell'Ecuador che non ha un pedigrèe da fenomeno ma ha battuto il record nazionale(20”28). Poi l'ultima faccia giamaicana che farà carriera, Warren Weir, 22 anni e una corsa facile e leggera. Meglio di Blake la faccia bianca che cerca il podio: Lemaitre (20”34). I tre americani distribuiti fino al 12° tempo. Gli americani rischiano un bel 0-3 in finale. Molto più attraente la finale femminile di stasera: la sfida è all'ultimo centesimo. Le americane promettono rivincite: in semifinale Allison Felix ha preso il volo, Sanya Richards ha tenuto dietro la Fraser Pryce, campionessa dei 100, solo la Jeter ha mollato metri alla Campbell Brown. Finale da roulette russa per la velocità Usa: un solo colpo ancora in canna, per vincere i 200 maschili servirebbe una epidemia.
Ancora un russo sul podio del salto in alto: stavolta tocca al maciste un po' pazzerellone che si chiama Ivan Ukhov, quello che un giorno gareggiò da ubriaco prendendosi una strigliata dalla Iaaf. Ieri era sobrio e ne ha fatto le spese l'americano Kynard (2,33). Sul podio c'è posto anche per un atleta del Qatar. Si chiama Essa Mutaz Barshim, famiglia di atleti, primo bronzo nell'alto per un paese così esotico. La Russia ha conquisto tre degli ultimi quattro ori olimpici, la scuola è da invidiare. Il caso Ukhov lo dimostra: per nove anni ha giocato a basket, poi ha cambiato. Il suo allenatore ora è Sergey Klyugin che gli ha passato i segreti per vincere, fu oro a Sydney. La misura (m. 2,38) è la più alta degli ultimi 16 anni (ad Atlanta vinse Austin con 2,39). In poche ore, invece, Taoufik Makhloufi passa dall'esclusione dai Giochi alla medaglia d'oro nei 1500 metri. L'algerino era stato estromesso per condotta antisportiva negli 800: si era ritirato subito. Poi è stato riammesso. E ha trionfato. Secondo l'americano Manzano e terzo il marocchino Iguider coi kenyani fuori dal podio.
Diamo un'occhiata anche in casa nostra: è successo di tutto un po'. Marzia Caravelli ha sbattuto contro il quinto ostacolo nella semifinale dei 100 ostacoli e addio. Finale andata a Sally Pearson, l'australiana alla quale mancava solo l'oro olimpico: da batticuore la gara, spettacolare il tempo: 12”35. È bastato un salto a testa per Greco e Donato ed è stata qualificazione alla finale di domani del salto triplo: 17 metri Greco, 16,86 Donato, quarto posto per l'uno, ottavo per l'altro.

Poi hanno evitato altre prove per i loro guai fisici. C'è spazio per una speranza, non sembra un triplo da grandi misure. In finale anche Elena Romagnolo nei 5000, mentre Abate(13”46) si è conquistato la semifinale dei 110 ostacoli. Spiccioli di protagonismo.

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