La coppia senza coppa

Seconda delusione per il tecnico, il presidente perde la sua quarta finale europea: adesso viene il difficile

La coppia senza coppa
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C'è un momento in cui il calcio smette di essere gioco e diventa dolore. Per Simone Inzaghi il momento è arrivato al fischio finale dell'arbitro Kovacs, quando la Champions League ha definitivamente voltato le spalle all'Inter. Ancora una volta, la seconda in 3 stagioni, che poi cronologicamente sono 2 anni appena. Pochi, troppo pochi per non soffrire e non parlare di dolore, soprattutto a una manciata di giorni dalla beffa scudetto, ferita suturata giusto per preparare al meglio la finale, ma certo tutt'altro che rimarginata. E così la stagione in cui l'Inter ha corso per vincere tutto si chiude nel peggiore degl'incubi, altro che triplete. Resta il Mondiale per club, ma quello oggi sembra futuro, molto più distante delle due settimane che ce ne separano, con in più le Nazionali nel mezzo e per noi un delicatissimo Norvegia-Italia che mette paura e a cui l'esito della finale non ci avvicina certo in modo incoraggiante.

La delusione di Inzaghi è la delusione di un popolo. È la delusione di Beppe Marotta, per cui la Champions resta un traguardo inarrivabile. Aveva già perso 3 finali su 3, di cui 2 con la Juventus, e forse per provare a spezzare l'incantesimo alla vigilia ricordava come questa di Monaco fosse «la prima da presidente». E invece niente, battuto anche stavolta. Maledizione, appunto.

Inzaghi le ha provate tutte anche stavolta, come due anni fa a Istanbul. Gli occhi spiritati ma vuoti, lo sguardo finale, deluso e perso sono la fotografia della sconfitta nerazzurra. Restano le emozioni di una stagione vissuta in prima fila, restano i 137 milioni fatti guadagnare all'Inter con i soli premi vinti in questa Champions League. Fra pochi mesi, Marotta parlerà di un bilancio finanziario finalmente in attivo e gran parte del merito sarà proprio dei risultati ottenuti in campo dalla squadra, negli anni della massima austerity. Ma senza la quarta Champions è tutto più vuoto, il vuoto che lascia una grande occasione prima sognata e poi solo sfiorata.

Inzaghi è un tecnico quasi da laboratorio: maniacale, essenziale, capace di rendere un collettivo solido anche con risorse limitate. In questi anni il feeling con Marotta è cresciuto in misura proporzionale al ranking internazionale dell'Inter. Quando se ne andò Conte, Marotta avrebbe voluto Allegri. Arrivò prima Andrea Agnelli e lui ripiegò proprio su quella che in quei mesi era la seconda scelta della Juventus. Sliding doors, chissà come sarebbe andata la storia a panchine invertite.

Ci sarà chi parlerà di colpe, lo stesso Marotta, in un passato ormai remoto, non ha nascosto critiche al suo allenatore. Non lo farà stavolta perché anche lui sa che dietro questa stagione da mille emozioni, altrettante speranze e zero titoli si nasconde anche l'ambizione di correre per tutto con lo stesso organico della stagione precedente, quando invece l'Inter uscì dalla Coppa Italia a dicembre e dalla Champions a febbraio, col risultato poi di scappare via facile in campionato, per vincere lo scudetto della seconda stella. Ambizione al confine della presunzione, pagata con un finale a serbatoio svuotato, quando il conto è arrivato tutto insieme e troppo alto.

Simone Inzaghi merita il rispetto degl'interisti anche in questa dolorosa sconfitta. Marotta e la società gli chiederanno di restare e riprovarci. La tentazione di andarsene esiste, le sirene saudite sono allettanti, almeno sul piano economico.

Saranno riflessioni importanti, servono scelte forti, serve capire se l'Inter vuole entrare davvero nell'élite o solo continuare a sfiorarla. Perché Inzaghi non è un illusionista, ma un architetto del possibile. E se il progetto crolla, non sempre è colpa del costruttore.

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