Calcio

"Così inventai l'assist a Rossi. E vi spiego Mou re di Roma..."

La magia dell'ala l'8 luglio '82: "La Polonia, il mio sinistro ma fu bravo Paolo". Su Josè: "Amato per la sua genuinità"

"Così inventai l'assist a Rossi. E vi spiego Mou re di Roma..."

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Alla fine del Mondiale di Calcio del 1982 Pelè, in un'intervista, affermò che Bruno Conti era stato chiaramente il miglior giocatore della manifestazione, definendolo il vero brasiliano della kermesse spagnola. Conti giocò un mondiale in un crescendo costante di qualità, partita dopo partita, consacrando a livello mondiale il suo sinistro: l'assist che servì a Paolo Rossi nella semifinale contro la Polonia, giocata esattamente 41 anni fa, è qualcosa di epico. Tranne due brevi parentesi al Genoa, un uomo che ha vissuto la sua vita per le maglie dell'Italia e della Roma. E per la sua Roma, società in cui mise piede la prima volta nel 1973, ha fatto di tutto: giocatore, allenatore, dirigente, ambasciatore, prima squadra, giovanili. E se oggi dici Roma e vedi l'immagine di Josè Mourinho, è sempre bene ricordare che Conti è lì da quando il capitano si chiamava Francesco Cordova. La sua bandiera è sempre lì da 51 anni.

Ma torniamo a quell'8 luglio di 41 anni fa... Contro la Polonia, prima di servire a Paolo Rossi il più splendido degli assist, si gira verso il centro per un veloce sguardo: cosa vide in quella frazione di secondo?

«Ricordo che Rossi era solo dall'altra parte dell'area. Tra me e lui, c'erano due difensori e il portiere. Paolo fu bravo a fare una finta che io conoscevo bene e a quel punto dovevo solo fare il cross».

Quel cross poteva farlo solo lei.

«Rossi in Nazionale, come pure Pruzzo nella Roma, sono stati attaccanti formidabili. Si facevano trovare pronti con i giusti movimenti. Poi certo, io devo ringraziare madre natura e Nils Liedholm. Fuori al Tre Fontane, dove ci allenavamo con la Roma, c'era un muro dove Liedholm voleva che ci allenassimo per perfezionare i fondamentali. Tutti i giorni».

Avevate battuto Argentina e Brasile. La Polonia poteva essere un brusco ritorno alla realtà della prima fase?

«Devo parlare del mio secondo papà: Enzo Bearzot. Fu massacrato ma non perse mai di vista le sue idee. Sapeva che noi eravamo un squadra forte e non smise mai di inculcarcelo».

Cosa vi disse prima di quella semifinale?

«C'era qualcuno di noi che dopo Brasile e Argentina quasi sembrò essere convinto di aver fatto il massimo. Bearzot ci marcò stretto. Sapeva che saremmo potuti arrivare fino in fondo».

Un aneddoto di quella partita?

«Inizia la semifinale e in curva, i miei amici aprirono lo striscione Per il mondo sei Bruno Conti, per Nettuno sei MaraZico. Un'emozione unica. Una carica incredibile».

In 12 mesi solari portò l'Italia in cima al mondo e la Roma allo scudetto?

«Stiamo parlando di due squadre fortissime e di un grande presidente: Dino Viola. È stato un periodo fantastico. Sono felice di aver reso contenti tutti gli italiani, di aver fatto felici tutti i tifosi della Roma, ma soprattutto di aver realizzato il sogno del mio papà: Enrico. È stato un uomo straordinario, un lavoratore incredibile, ma soprattutto un grandissimo tifoso della Roma. Ricordo la sua felicità quando firmai il mio contratto con la Roma. La mia prima cravatta della divisa sociale la indossò sempre lui, per anni».

Il tuo rapporto con la Roma?

«Ho fatto di tutto e l'ho fatto sempre con l'enorme soddisfazione di chi lavorava per la squadra del suo cuore. Andai al Genoa solamente perché Anzaloni voleva Pruzzo e il Genoa non l'avrebbe venduto se non avessi accettato un altro anno in Liguria».

Oggi la tua Roma è nelle mani di Josè Mourinho?

«E non esistono mani migliori. Vivo la quotidianità di Mourinho e vi posso assicurare che è un grande leader, è un grande allenatore, ed è una grande persona. Per me è il Number One. Sottolineo un aspetto: il popolo, la gente, i tifosi capiscono subito la genuinità di una persona. Roma è pazza di Mourinho. Lo stadio è sold out da due anni!».

Detto da chi come secondo padre ha avuto Enzo Bearzot.

«Ma non esistono dubbi. Il suo temperamento, le sue parole, sono figli del voler difendere a tutti i costi la sua creatura. Che è la squadra. Dal primo dei fuoriclasse all'ultimo giovane della primavera. E se esce da Trigoria e vede un bambino che sogna di incontralo si ferma e lo rende felice. Come pure non perde mai gli allenamenti dei giovani della Roma. Guarda, si informa, chiede, osserva. È uno che parla in faccia. Trovate un giocatore che ha avuto Mourinho e non lo adora? Per me in assoluto è un grandissimo».

Plusvalenze! Quanta Roma ha cresciuto in tutti questi anni?

«Ci pensavo ultimamente e facendo un rapido calcolo, credo di aver generato almeno 180 milioni di euro di plusvalenze per la Roma».

Algoritmo o Liedholm?

«Non scherziamo. Vedo errori nei giovani di oggi incredibili. Hanno grande fisicità, ma dubito che passino il giusto tempo ad affinare la tecnica, i fondamentali, come il Barone pretendeva da ognuno di noi. Oggi si preferiscono gli algoritmi e il fisico a discapito della tecnica. E non si insegna più calcio ai giovanissimi.

Ai bambini gli devi far mangiare il pallone e a 10-12 anni non gli si può parlare di tattica».

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