"Dai sorrisini al 9''99 di Tortu. Così la nostra atletica è risorta"

L'ascesa di Filippo, la Vallortigara 2,02 nell'alto, le staffette d'oro, razzismo e integrazione. Parla Giomi, n°1 Fidal

"Dai sorrisini al 9''99 di Tortu. Così la nostra atletica è risorta"

«I sorrisini». Li ricorda così. «Erano stati quelli a far male». Più di tutto. I sorrisini mentre il direttore tecnico Elio Locatelli, per alleggerire la tensione, diceva «per fortuna non abbiamo fatto zero tituli...». I sorrisini come lame nella carne mentre lui, Alfio Giomi, settant'anni, presidente dell'atletica azzurra dal 2012, faceva i conti con la pochezza dei risultati della spedizione azzurra ai mondiali di Londra 2017. Una medaglia sola. Afferrata all'ultimo da Antonella Palmisano nella marcia 20 km. Bronzo. E meno male. Un bronzo provvidenziale che aveva evitato lo zero tondo di due anni prima ai Mondiali di Pechino e l'altro zero tondo, quello più doloroso ancora, a Rio 2016, olimpiadi, brutta figura e tanta sfortuna. Gimbo Tamberi fresco campione del mondo indoor di alto che s'infortuna a due settimane dall'inizio dei Giochi e, poco prima, la vicenda Schwazer oggi non ancora finita. Medaglie che sparivano fra rimpianti e polemiche.

«Vedevo quei sorrisini e pensavo al male che avrebbero potuto fare» ricorda ora Giomi alla vigilia degli Europei di Berlino al via il 7 agosto mentre con umore decisamente diverso si coccola l'esplosione del nuovo Mennea, meglio dire il nuovo Berruti: Filippo Tortu. E la resurrezione di Elena Vallortigara volata a 2 e 02, seconda prestazione all time per l'Italia. E le vittorie delle staffette. «Le 4x400, termometro dello stato di forma di un intero movimento» sottolinea. Quella degli uomini, Klaudio Gjetja, Andrea Romani, Alessandro Sibilio ed Edoardo Scotti, ai Mondiali under 20 di Tampere, tutti bianchi e tutti davanti agli squadroni di Usa e Gran Bretagna con il record italiano e la migliore prestazione mondiale dell'anno (3'04''05). E quella delle ragazze oro ai Giochi del Mediterraneo, Libania Grenot, Raphaela Lukudo, Ayomide Folorunso e Maria Benedicta Chigbolu, tutte di colore. Perché l'atletica è integrazione. «Dicono che sono di colore?» sembra scherzare Giomi ma è solo un'impressione. «Non ci eravamo accorti che gli uni e le altre avessero un colore... Non ci abbiamo mai pensato, per noi hanno un solo colore: l'azzurro...», chiude la questione in parte infastidito dalle strumentalizzazioni seguite a quel successo e in parte rinfrancato dalla bella immagine che l'atletica ha di nuovo dato di sé in questi giorni, dopo il vergognoso attacco alla discobola Daisy Osakue. Solo domani si saprà se potrà essere a Berlino. «Una vicenda che una volta di più ha mostrato come l'atletica azzurra sia di riferimento per far crescere il Paese...» riprende Giomi. «Quanto alla presenza di Daisy, restiamo ottimisti anche se è a rischio. La stanno curando con il cortisone, servirà un'autorizzazione dell'antidoping...». E a chi gli fa notare che questi ragazzi si sacrificano di più, tanta è la loro voglia di emergere, Giomi ribatte scocciato: «Non è vero. Tutti si sacrificano. Allora, Pietro Mennea doveva essere di colore. Mai visto un giovane con una tale voglia di sacrificarsi per emergere...». Quanto ai sorrisini, alle critiche dopo Londra, «fecero male a me e a tutta l'atletica» prosegue il n°1 Fidal. «Perché dietro di essi c'era la volontà di non vedere il lavoro che stavamo facendo. Io dicevo ma guardate oltre, ai giovani che stiamo seguendo lontano dai riflettori, presto sbocceranno.... Moltissimi ora sono fra i 92 azzurri di Berlino, 40 le donne. Tortu atleta simbolo di questa nuova Era dell'atletica, Elena Vallortigara esempio di abnegazione e voglia di non mollare mai. Proprio come Tamberi, commovente ed entusiasmante nella sua lotta per tornare ai livelli del 2016. «E ce la farà, vedrete, magari già da Berlino...» profetizza Giomi, ricordando l'oro di Gimbo agli ultimi Europei, sette medaglie il bottino. In fondo bisogna dargli retta. Aveva profetizzato anche a Rio, due anni fa, con gli occhi lucidi di rabbia e delusione dopo aver visto svanire l'ultima occasione da podio con le marciatrici. «Qui» aveva detto «una generazione ha concluso il percorso, ma una nuova sta crescendo. Di questa fanno parte altri ragazzi, come Filippo Tortu...».

Filippo. Il brianzolo di sangue sardo all'epoca quasi sconosciuto che ha fatto ciò che l'Italia sognava da sempre: scendere sotto i 10 secondi. Terzo bianco e primo azzurro. «E a Madrid il tempo è arrivato nonostante la sua gara non sia stata perfetta... Filippo vale un crono molto inferiore e lo dimostrerà». Intanto, l'atletica è tornata là dove deve stare: in prima pagina. «Non dimentichiamoci mai che i 100 metri olimpici sono la gara più vista al mondo...». Filippo che come Tamberi ha la forza di trascinarsi dietro la ripresa di un intero movimento. Filippo che come Gimbo viene allenato dal proprio padre e lontano dai centri federali. «Ricordo quando era bambino e con suo papà Salvino ci dicevamo: Ma quando crescerà, a chi lo affideremo? e adesso lo segue proprio lui, diventato un tecnico meraviglioso. Questa è l'essenza del nostro approccio: intensificare il legame tra allenatore e atleta nel proprio territorio, senza sradicarli ma facendoli crescere insieme.

Penso a Filippo, a Gimbo, penso a Elena Vallortigara con Giardi a Siena. Stiamo investendo molto su questo. Siamo noi a dover andare da loro. La recente esplosione di prestazioni è anche frutto di questo approccio federale». Detto con un sorriso.

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