nostro inviato a Londra
Stupisce. Ma forse, riflettendoci, non dovrebbe. Sul momento stupisce perché guardi quel guerriero di una donna che è la Valentina nel senso di Vezzali e pensi meglio vedersela con dieci soldati della Royal Army che con lei sola. Osservi quella affascinante e combattiva donna della Di Francisca per realizzare subito che si tratta di guerriero pericoloso, di quelli che vorresti in giardino di notte a tener lontani ladri. Pensi alla Errigo e se anche gli urletti sono femmina, le stoccate sono uomo e fan paura. Pensi a Jessica nel senso di cecchina Rossi e chi meglio di lei a proteggere Papi e Capi di Stato. Stupisce, ma non dovrebbe, che traslocando da pedane e assalti e poligoni a piscine e Setterosa e beach volley e palazzetti e pallavolo, ecco, stupisce che tutto cambi e l'Italia smetta di essere femmina. Femmina vincente.
Ma non dovrebbe stupire. In fondo anche nello sport siamo innanzi al vecchio adagio del vivere e crescere e scoprirsi uomo e donna e cioè uomini più uniti e pasticcioni e cioè donne solitarie ma agguerrite e con il guizzo in più. È così nella vita, è così da ragazzini. Non deve stupire. Le donne faticano a fare squadra, ma se riescono allora sono titoli europei e coppe del mondo e soddisfazioni.
Non ci deve trarre in inganno l'oro del fioretto a squadre, sigillo di un team composto da irriducibili individualiste messe assieme solo per far punteggio. Non è squadra nel senso letterale, nel senso di strategia, di passaggi, coperture, schiacciate, reti, muri, parate. La pallanuoto femmina ha vinto ad Atene, era campione d'Europa, aveva trionfato nel torneo preolimpico. Ci si aspettava qualcosina di più dal Setterosa e invece a casa alla prima dentro e fuori, ko 9 a 6 dagli Stati Uniti. E ct Conti ha un bel dire «do 6 alle mie ragazze nonostante le tre sconfitte in quattro partite, perché quelle del girone non contano». Ma come non contano? Se non altro rivelano che non era Olimpiade. Dalla vasca alla sabbia. Le dee del beach, Greta Cicolari e Marta Menegatti. Il mondo tifava per loro e fuori anche loro. Però battute dalle più forti. E dalla sabbia ai palazzetti, alle nostre ragazze campioni del mondo neppure un anno fa, alle Lo Bianco, Cardullo, Piccinini, Bosetti, le donne di ct Barbolini. Primo dentro e fuori e naturalmente fuori. Fotocopie di Atene 2004 e Pechino 2008. «Le coreane strameritano, ma le mie ragazze hanno combattuto. A volte si lavora bene, ma le cose non riescono. Come qui a Londra» dirà il ct. Però no. Alla voce combattere prego guardare la scherma femmina, quella rabbia lì insomma, non il festival di inutili dammi il cinque e manate e frasi d'incitamento che sono servite pochino e che però fanno parte del volley.
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