La notizia del giorno è una: Carlo Ancelotti esonerato dal Bayern. Dietro la notizia del giorno c'è subito la suggestione più attraente: liberato dal contratto datato giugno 2019, il tecnico potrebbe allenare subito in Italia. I tifosi del Milan, già in fermento per un paio di fuori pista della squadra di Montella, hanno cominciato a invocarlo sul web. È la forza dei ricordi stupendi ma anche della traccia che un uomo e un allenatore super, pieno di medaglie al collo e coppe in bacheca, hanno lasciato dalle parti di Milanello e non solo. Fatale è stata la secca sconfitta maturata mercoledì notte a Parigi dinanzi al Psg di Neymar e Cavani, i due litiganti che hanno goduto col 3 a 0 realizzato in Champions. Decisiva la sommossa dei senatori che hanno dato via libera al secondo di Carlo, Sagnol. Robben, Lewandowski, Ribery e qualche altro esponente di primissima fila del club tedesco non hanno nascosto il loro dissenso nei confronti del tecnico, a stento domato dal successo in Bundesliga, nello scorso mese di maggio. In quell'occasione, vestito col costume tradizionale, Ancelotti diede libero sfogo alla sua passione cantando i migliori anni della nostra vita, la canzone simbolo della sua gloriosa carriera di allenatore. Le prime nuvole sono arrivate già nel corso della preparazione estiva: la sconfitta in Cina in luglio scorso, col Milan ad esempio, fu rammendata dal successo nella super-coppa. Con gli intimi, in quell'occasione, Carlo, scortato nell'avventura tedesca come assistente dal figlio Davide, si sfogò sicuro che per un po' i mangia-salsiccia lo avrebbero lasciato in pace. E invece no. Il suo amico Rummenigge ha spiegato il clamoroso provvedimento con una frase («le prestazioni non all'altezza delle aspettative») che può andare bene per qualunque esonero. In Baviera come a Milano.
Già perché da ieri i fantasmi evocati dietro la panchina di Montella in modo frettoloso hanno una sagoma. A Milano vive la figlia di Ancelotti che gli ha appena regalato un nipotino, a Milano ci sono i suoi tanti amici ed estimatori, specie tra le truppe milaniste che non hanno mai dimenticato i trionfi di Manchester e di Atene, la coppa Intercontinentale e lo scudetto del 2004 ma soprattutto il bel calcio esibito, l'invenzione di un sistema di gioco (l'alberello di natale, due mezze punte, Kakà e Rui Costa o Rivaldo dietro l'unico attaccante, Shevchenko o Inzaghi) che pure gli costò una pubblica ammenda di Berlusconi aggirata con la sua grazia e la sua furbizia («Presidente, io sempre tre attaccanti schiero»). Per tentare di riportarlo a Milanello, Galliani tentò una disperata sortita nell'estate del 2015 appena maturato il divorzio dal Real cui portò in dono la famosa decima. L'allora ad rossonero visse per una settimana a Madrid ma si arrese dinanzi alla questione di salute: di lì a qualche tempo, Carletto si operò di ernia al collo. Andò a segno invece il pressing del vice Berlusconi qualche anno prima, nel novembre del 2001: allora, guarda le combinazioni, c'era in panchina Terim, appena arrivato dalla Fiorentina (come Montella, altra scontata suggestione), messo in discussione da una sconfitta rovinosa e inattesa a Perugia (3 a 1). A Torino Inzaghi mandò sopra la traversa il rigore del possibile 1 a 1 e Galliani si precipitò a casa di Ancelotti per ottenere la firma sul contratto. Da quel giorno si aprì un ciclo strepitoso di successi e di bel calcio.
In particolare il rapporto tra Ancelotti e la vecchia guardia divenne un cordone ombelicale impossibile da recidere. Il Milan non è l'unica passione dichiarata di Carlo: la panchina della Nazionale può diventare l'altra sua destinazione naturale. Specie se il ct Ventura dovesse bucare la qualificazione al mondiale di Russia 2018.
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