Il dieci pesa e scompare. La A senza gusto del bello

Nelle rose delle grandi è una maglia vacante. Ma ritirarla toglie i sogni, è uno scippo al calcio

Il dieci pesa e scompare. La A senza gusto del bello

Il numero 10 è quello che dice al pallone: «Grazie, vecchio mio!». Non certo un signore qualunque. Il numero 10 è chi indossa la maglia e quella non fa una grinza sulla pelle. Indossi il numero 10, se sei un numero 10. Poi ci sono giocatori che l'hanno vestita come fosse una camicia stropicciata, un oggetto di consumo o, detta con la dissacrante ignoranza di Paul Pogba: «Il 10 è un numero come tanti altri». Il francesone sortì da quella frase con le orecchie dell'asinello di Pinocchio. Inscatolato nel suo presente Raiola style e tanto lontano dall'idea romantica del pallone.

Poi, dirla proprio in Italia!

«Dieci, ora pro nobis», è stata più di una invocazione in stile ecclesiale, è stata evocazione e sollievo delle folle. Il 10 può essere un fantasista (Roberto Baggio) ma pure un regista (Luisito Suarez). Però è Qualcuno. Diciamo Gianni Rivera, il più grande visto in Italia, ma anche Alex del Piero con la maglia della Juve, società che ha onorato il marchio di qualità scegliendo Omar Sivori e Michel Platini. Zinedine Zidane, timido e un po' meticcio nell'idea, si è tenuto un altro numero ma il suo calcio modernizzava l'interpretazione.

Nostra Signora degli scudetti ci ha provato anche con Carlos Tevez. E forse ci sarà Dybala. Pogba ha rimediato la figuraccia quando, accanto al 10 di maglia, ha aggiunto un + 5. Cosa voleva dire? Si sono sprecate interpretazioni. Ora sappiamo che 105 sono stati i milioni serviti al Manchester United per l'acquisto. Una trovata Raiola style? Chissà, certamente uno sgarbo alla maglia. Come se qualcuno avesse aggiunto una virgola alla O di Giotto.

Oggi assistiamo alla presa di distanza di Lorenzo Insigne che, nello stile scugnizzo, ha tutto per rappresentare la categoria. Però il 10 color del Napoli pesa troppo, per chi la porta. Fa sollevar la testa verso l'alto, tornano sogni, canzoni, il godimento del pallone, per chi la guarda. Diego Maradona la gestiva come un mantello da Superman. Altrove c'è chi la indossa come fosse un coltello nella pelle. Insigne ha detto: «Mi tengo il 24, e chissà chi la porterà ancora?». Il Napoli ha ritirato il numero nel 2000, dopo aver visto tanti succedanei. Citiamo: Gianfranco Zola, Eugenio Corini, Fausto Pizzi, Beto, Igor Protti, Claudio Bellucci.

Ritirare il 10 è uno scippo al calcio, ma metterla sulle spalle di taluni frequentatori da stadio è irrisione al buon calcio. In Italia stiamo perdendo l'abitudine al bello e dobbiamo accontentarci del peggio. Il Milan, dopo aver visto Rivera e Savicevic, l'ha messa sulla pelle di Boateng (da licenziare l'ideatore) e Honda (in nome del marketing, pensa te!). L'Inter l'affidò a Luisito Suarez, Evaristo Beccalossi, Lothar Matthaus, eppoi ci fu un minestrone di interpretazioni da Ronaldo ad Adriano, perfino Kovacic. Wesley Sneijder è stato l'ultimo classico. L'ultimo a portarla, Stefan Jovetic, è stato cacciato.

Il 10 pesa perché nel calcio è il numero che ti fa guadagnare di più, insieme al 9, ed entra nella colonna vertebrale che indica lo scheletro di una squadra. Il 10 è eredità: eredità prima ancora che potere calcistico. Far scomparire una maglia significa togliere i sogni ai ragazzini, rannicchiare nel ricordo chi ha visto campioni correre sul campo. Ciascuno con il suo stile: sulle spalle di Rivera sembrava un frac, Giancarlo Antognoni la teneva come un vestito di sartoria, Roberto Baggio come un giubbotto di pelle, Platini come la giubba di un D'Artagnan, Sivori come fossero jeans e camicia, Alex del Piero indossava l'abito della festa. Firenze si è goduto il viola intenso quando il 10 era Antognoni o Baggio, ma pure Rui Costa non è stato male. Ora ci sarebbe Bernardeschi: le spalle sono ancora curvette per sopportarne il peso. Comunque quella viola e quella di Felipe Anderson nella Lazio sono le uniche maglie occupate. Nelle altre grandi sono vacanti: non ce l'hanno Juve, Napoli, Inter e dalla prossima stagione Roma e Milan. Il 10 è cervello e talento, fantasia e senso del gioco: difficile scovarne così completi.

Maradona eccelleva ed eccedeva. Insigne ha trovato più semplice riconoscersi nella casacca della nazionale e sta cercando di nobilitarne l'esistenza. L'ultimo vero 10 color azzurro Italia fu Francesco Totti nel mondiale 2006. L'ultimo 10 d'artista nostrano, che se n'è andato, è il Totti medesimo: l'ha tenuto stretta e bene, ma forse poteva toglierla con qualche attimo di anticipo. Non è bello vedere quella maglia trascinarsi per il campo a caccia di un corner o di una punizione da tirare. I piedi mirabili riscattano, in una frazione di secondo, il peso dell'età ma non sempre ti fanno vincere.

Il piede del 10 è carezzevole e canzonatore, l'assist è l'acuto, il gol spetta ad altri. Maradona, che era genio al di là del bene e del male, 31 anni fa a questi giorni, si inventò la mano de Dios per punire gli inglesi. Oggi è bastata Theresa May.

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