"Djokovic? Solo uniti daremo un futuro migliore al tennis"

Il presidente dell'Atp: "Basta con il tennis diviso. Siamo in emergenza, a Melbourne era una galera, servono soldi"

"Djokovic? Solo uniti daremo un futuro migliore al tennis"

Tennista fino al numero 18 del mondo, finalista di Coppa Davis, una seconda vita da imprenditore. Poi la chiamata come presidente dell'Atp: «E proprio neanche ci pensavo...». Andrea Gaudenzi guida l'associazione a capo del tennis mondiale da poco più di un anno, quello più difficile. «Avevamo tante idee e invece ci siamo dovuti occupare di gestire la crisi. E succede sempre qualcosa».

Per fortuna si è riusciti a finire gli Australian Open.

«Già in autunno con i tornei di preparazione agli Slam era stato un momento delicato. Ma a Melbourne la quarantena, l'impossibilità di allenarsi, l'essere rinchiusi in una stanza d'hotel, ha reso tutto estremo».

Si sono visti tennisti piangere in conferenza stampa.

«Sono ragazzi abituati a stare in libertà totale. Si son ritrovati 24 ore su 24 in camera, dove arrivavano cibo e asciugamani neanche fossero carcerati. Molti alla fine erano stanchi mentalmente, pieni di infortuni, vulnerabili di fisico e di testa».

Il circuito è ripartito.

«Ma la situazione è grave: senza spettatori si sono persi un terzo di incassi e si abbassano i prize money. I giocatori fanno più fatica e guadagnano meno: l'equazione non è positiva».

Il tennis ha fama di sport per ricchi, ma non è uguale per tutti.

«È vero: per giocatori di fascia più bassa il momento è terribile. Stiamo lavorando per un pacchetto che copra le spese di viaggio. E per molti stare in giro ora 6 settimane senza poter portare la famiglia è frustrante».

Qual è il piano Gaudenzi?

«Il piano Atp, direi: raddoppiare la torta. Dobbiamo lavorare su come far crescere gli introiti: attualmente il montepremi di tutti i tornei Atp è tra i 150 e 160 milioni di dollari. Sembra una grande cifra, ma poi togli tasse e spese e già intorno al numero 80 non rimane nulla».

Su questo i big sono divisi: Federer e Nadal con l'Atp, Djokovic con la PTPA.

«La pensiamo tutti allo stesso modo: un tennista professionista ha diritto a una carriera tranquilla e corta. Nel senso che quello che incassa deve durare anche quando smette di giocare. La questione è che se sei Top 20 guadagni con gli sponsor, dai 30 in giù fai fatica».

Serve equilibrio.

«Per questo serve unità. Se chiedi ai fans chi vogliono veder giocare, il 90% ti dice Roger, Rafa e Nole. Prima di preoccuparmi del giocatore 500 al mondo voglio risolvere i problemi del numero 80. La discussione è dove mettere la linea del tennis pro, e poi risolvere per primo quello che c'è sopra».

Il sindacato di Djokovic è una spaccatura pericolosa?

«La sfida non è tra giocatori contro organizzatori, ma è tennis contro gli altri sport, la musica, Netflix, tutto ciò che tocca il portafoglio e l'attenzione degli appassionati. Non essere uniti ti fa passare il 90% del tempo a litigare e a sprecare energie».

C'è qualcosa in cui potete dargli ragione?

«Io sono stato giocatore e so la fatica che si fa, anche a capire i problemi del mondo organizzativo. L'ho detto a Nole: lavoriamo insieme sui punti da migliorare. I giocatori hanno 3 rappresentanti su 6 nel board e voce su tutto, più di così...».

Sembra che non basti.

«I tornei hanno investito miliardi in infrastrutture, non si può buttare via la storia del tennis. Senza dimenticare che i tennisti sono liberi professionisti e possono gestire in proprio le loro risorse. E che poi che i padroni di tutto sono i fans. La PTPA è nata durante lo stop per il Covid, quando c'era molto scontento. Ma così il rischio è di far saltare la baracca. E di restare tutti senza lavoro».

Si dice anche: bisogna accorciare le partite.

«Il tennis va migliorato? Sì. Ma cominciamo da quello che c'è intorno: come lo organizziamo, come lo gestiamo. Siamo indietro di almeno 15 anni, non abbiamo un database, non siamo digitalizzati».

E le regole?

«Da ex giocatore dico che per me il tennis è sacro. Mi rendo conto che per i giovani un match è lungo, ma oggi lo puoi impacchettare come vuoi. Fare highlights più o meno corti, prodotti per i social media, trasmissioni per chi lo vuol vedere 4 ore e chi lo sbircia sugli smartphone. Perché poi: a chi ha pagato il biglietto per la finale di Wimbledon, glielo dici tu che il match dura solo un'ora? E poi: cambiare le regole? Solo su dati certi. E se ne vale la pena».

Chiudiamo con l'Italia: il futuro di Roma?

«È nella lista dei tornei che potrebbero allungarsi a 11-12 giorni con 96 giocatori in tabellone, vedremo. Il Foro Italico? Il tennis è uno sport che si guarda al 99% da remoto e chi lo vede in Tv può godere di uno spettacolo incredibile. Spostare il torneo per avere stadi enormi non ha senso. Lì dall'alto non vedi neanche la palla».

E le Finali Atp a Torino da presidente?

«La vita riserva sempre sorprese. E magari con un giocatore italiano, chissà...».

Berrettini alle Finali è già stato. Giudizio su Sinner?

«Io sono romagnolo, ma mi allenavo in Austria e conosco la zona. Vedo in Jannik una freddezza eccezionale. Lo sci gli ha dato quello: ti giochi tutto in millesimi di secondo. E nei punti importanti lui va a cercare sempre la cosa giusta da fare».

Dunque: a quanto sopra manca un numero uno al mondo italiano. Ci sta?

Sorride...

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