Sport

Donnarumma e Meret, i diversamente predestinati

Uno paratutto, strapagato ma fischiato in patria, l'altro timido e unico azzurro che non giocherà

Donnarumma e Meret, i diversamente predestinati

Dai fischi dell'Olimpico, pochi ma forti e ben udibili, alle parate decisive a Wembley e poi a Monaco, dove ha anche ritrovato la parola con i cronisti dopo l'«ovattata» intervista al sito Uefa. In più un futuro (ben retribuito) al Psg. Gigio Donnarumma non è profeta in patria, ora che ha lasciato il Milan e il pubblico italiano non gli ha regalato ovazioni (il ragazzo alle nostre latitudini è poco amato per i suoi trascorsi, da quell'esame di maturità saltato alla vicenda di mercato col Milan), ma è un predestinato per la porta azzurra e di un club ricco come quello parigino.

Per molti è più forte del totem Buffon, di cui Gigio aveva il poster in camera da bambino insieme a quello di Dida e, con la gentile collaborazione di Sirigu, Cragno e Meret, ha cancellato dalle statistiche il record di imbattibilità in azzurro di Dino Zoff che durava dal 1974. «Sono emozionatissimo, abbiamo superato una leggenda», aveva commentato a caldo dopo il traguardo di 1168 minuti di inviolabilità della porta, dalla rete subita dall'olandese Van de Beek il 14 ottobre 2020 a Bergamo a quella incassata dall'austriaco Kalajdzic nei supplementari dell'ottavo di finale giocato a Londra lo scorso 26 giugno. «I primati personali vengono dopo, io faccio tutto per la squadra. Poi certo, superare uno come Zoff è qualcosa di incredibile», le parole del numero uno azzurro che in realtà indossa la maglia con il 21. «Stiamo acquisendo più aggressività e consapevolezza di partita in partita», così Donnarumma che a Monaco ha messo la manona sul tiro di De Bruyne («la mia parata più difficile») e ha poi incassato il rigore e il gesto dello stare zitto da Lukaku («volevo solo dirgli che il penalty non c'era, ma non mi ha ascoltato...»). Ora torna a Wembley per fare nuovi miracoli.

E a Coverciano c'è chi lo guarda ammirato, magari cercando di carpirne qualche segreto, ma consapevole che a differenza di Sirigu - utilizzato da Mancini nel finale di Italia-Galles - non vedrà mai il campo: è quell'Alex Meret che, pure di due anni più grande, è solo il terzo nella gerarchia dei portieri azzurri. È il 26° del gruppo azzurro, in tutti i sensi. Non un minuto giocato (l'unico della truppa azzurra), nessun articolo di giornale o inquadratura di telecamera, poco attivo sui social. Vista l'ascesa del più giovane Donnarumma, il suo destino è più simile a quello di Marco Amelia, terzo dietro Buffon e Peruzzi della Nazionale campione del mondo 2006, che a quello di Giovanni Galli, il terzo dietro Zoff e Bordon al Mundial 1982 e poi diventato titolare quattro anni dopo. Proprio secondo Galli l'estremo difensore del Napoli - dalla prossima stagione di nuovo titolare -, è «introverso e timido, gli manca di far sentire la sua presenza in porta». Cosa che non mancava a Dino Zoff, il prodotto più fulgido della scuola friulana alla quale appartiene anche l'udinese Meret. Che nel quartier generale fiorentino è sotto l'ala protettrice del veneto ex numero uno Giulio Nuciari.

E con il sorriso osserva - da semplice spettatore - il cammino brillante dei suoi compagni.

Commenti