E Torino ritrova il derby. In due stadi diversi

E Torino ritrova il derby. In due stadi diversi

Omar Sivori era squalificato, guarda un po’ le combinazioni. Cella e Traspedini misero nei guai la difesa davanti a Vavassori. Laddove la crapa rasata di Cervato e gli spigoli di Tarcisio Burgnich erano ostacoli difficili. L’arbitro Francescon fece lo stretto indispensabile, né Beniamino Santos, né Carletto “Gauloise” Parola ebbero da ridire, finì zero a zero, il Filadelfia rumoreggiò mentre il torpedone dei gobbi abbandonava lo stadio della storia. Fu quello,il pomeriggio del tredici di novembre del millenovecentosessanta, l’ultimo derby giocato nella chiesa del Toro che poi emigrò al Comunale, già Benito Mussolini e oggi detto Olimpico. Cinquanta due anni di vita in comune, parenti serpenti, separati in casa, due curve opposte e nemiche nello stesso stadio, il Comunale prima e il Delle Alpi dopo.
Le macerie del Fila continuano a essere la vergogna di una città che vive di memoria, non soltanto nel football. Oggi Toro e Juve tornano a rivivere i tempi eroici, ognuna nel proprio stadio, pronte a ricevere l’odiata avversaria per farle sentire l’odore e i vapori, il fumo della battaglia e l’urlo del popolo fedele. Torino è l’unica città d’Italia con due stadi vivi, attivi, personali dei due clubs. Non esiste altra realtà pur metropolitana, Torino si allinea agli usi e ai costumi europei, Londra, Manchester, Liverpool, Madrid, Barcellona, ogni squadra ha il suo domicilio al quale il tifoso si sente maggiormente legato.
Cinquantadue anni hanno diviso ancora di più Juventus e Torino, non soltanto per la classifica, per le vicende maligne, la retrocessione sul campo dei granata, quella spudorata dei bianconeri, la crisi finanziaria del Toro, la scomparsa degli Agnelli padroni e depositari della juventinità.
Oggi le due squadre si ritrovano assieme nella stessa serie, reduci da risultati eccellenti, cercati, sognati, inseguiti, conquistati all’ultimo chilometro. Il Filadelfia non esiste più, il vecchio Comunale rivisto e corretto per i giochi invernali delle Olimpiadi, è una bomboniera ma quello che viene chiamato Juventus stadium (con la pronuncia latina, per favore) in attesa del nome dello sponsor pagatore, è una favola reale, bellissima, avvolgente, un po’ come lo fu il Fila e chiedo scusa ai vecchi cuori granata che si potrebbero sentire offesi o provocati. E’ la casa dei bianconeri che qui hanno recuperato il clima e l’orgoglio smarriti negli ultimi sei anni, dopo i fatti della cosidetta calciopoli. È la stazione di partenza. Così come l’Olimpico Comunale può e deve essere l’avvio di una avventura vera per il club di Urbano Cairo che ha dato una solidità sicura dopo anni tormentati e ridicoli, con personaggi improbabili che hanno speculato sulla pelle di un toro senza corna. Lo stadio diventa, dunque, la carta di identità di una squadra e di una città di sport. Torino, dopo le luci delle Olimpiadi di inverno, era tornata al buio.

Riscopre la ribalta, riempie le sue strade eleganti di bandiere granata e bianconere, sogna in grande, aspetta i calendari per conoscere la data dei due derby. Sarà un ritorno ai favolosi anni Quaranta, Cinquanta, Sessanta, quando il pallone rotolava nel fango, della pioggia, dell’umida nebbia piemontese. Poi arrivò un altro fango, quello degli uomini.

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