Non è comodo e neanche salutare stare seduti su una panchina, prestigiosa d'accordo, ma che produce effetti rovinosi al sistema nervoso perché somiglia, in questi giorni, più a una graticola. E può arrostire anche esponenti di una generazione di uomini coraggiosi, come il serbo Sinisa, e il francese Garcia, che vivono con Milan e Roma ore complicate per usare il solito eufemismo. Sono lì che contano i punti e le ore prima del Natale («il mio natale serbo capita il 7 gennaio» fa sapere Mihajlovic), sono lì che provano a difendersi dalle censure e dalle notizie dei giornali (Brocchi pronto a subentrare a Milanello, Pallotta che smentisce l'incontro a Londra con Mourinho) ma sanno bene che, altra massima del Trap, gli allenatori si dividono in due grandi categorie, «quelli esonerati e quelli che saranno esonerati». Perciò reagiscono secondo temperamento, nell'attesa che il viaggio in Ciocaria per il Milan e la sfida domestica con Genoa per la Roma, seppellisca rumors e polemiche e consenta loro di vivere un Natale sereno e gustare il famoso panettone, traguardo simbolico per un allenatore di calcio. «Vorrei essere Harry Potter» si lascia scappare Mihajlovic parlando del Milan, dei punti che mancano, dei talenti da recuperare a gennaio (Balotelli e Menez) e del mercato su cui «io e la società parliamo da due mesi, se arriva uno di qualità bene altrimenti niente», segno anche questo della precarietà dell'attuale gruppo dal quale partiranno sicuramente Suso (Genoa destinazione), Nocerino (Bologna o Samp) e magari anche qualche esponente di prima fila non proprio soddisfatto (Diego Lopez, Honda). Fuor di battuta, che non portò granchè fortuna al predecessore Inzaghi (i cronisti gli regalarono per Natale una bacchetta magica giocattolo), Mihajlovic è il primo a chiamare in correo al banco degli accusati i suoi giocatori quando gli chiedono conto delle partenze del Milan, sempre in affanno e al piccolo trotto. «Chiedete a loro» risponde indicando Montolivo e Abate che devono confessare le rispettive colpe.Anche Garcia sa bene cosa bolle nel pentolone della Roma di queste ore, trattative con tecnici che non accettano, pare, il contratto di sei mesi. «Non sono uno scemo, conosco le regole del gioco» ammette. E forse il primo errore, o segnale di debolezza, fu quello di accettare la rivoluzione dei preparatori imposta dal club. Adesso lui pensa di riuscire a mettere «la chiesa al centro del villaggio». Come? Piegando la resistenza del piccolo Grifone e sperando in un miracoloso riposo.
«Riconosco un solo errore, l'eliminazione in coppa Italia, abbiamo fatto meglio in Champions e siamo vicini al terzo posto, certo ci sono cose da cambiare ma quale fallimento!» borbotta burbero. Forse condivide lo stesso credo di Zeman («questa è una squadra non allenabile») ma non ha il coraggio di dirlo apertamente.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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