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Giroud accende il derby. "Meglio il Milan adesso che l'Inter l'anno scorso"

Il francese si presenta e cancella i nerazzurri. "Posso giocare con Ibra, facile capirsi con lui"

Giroud accende il derby. "Meglio il Milan adesso che l'Inter l'anno scorso"

Il giovanotto, un metro e 92 cm, ci sa fare. Con le parole oltre che col pallone. Da professionista maturo e pacificato con sé stesso (è campione del mondo con la Francia, ha vinto la Champions league col Chelsea) si è presentato al popolo del Milan con una frase finale che gli varrà l'indulgenza plenaria almeno per i primi mesi. Olivier Giroud, 34 anni, nato a Chambery, capoluogo della regione francese Savoia, ha nelle radici qualcosa di molto italiano. «Io sono cristiano e forse Dio ha voluto che non arrivassi l'anno scorso all'Inter e invece accettassi quest'anno il Milan»: ecco la frase che ha già procurato l'immancabile dibattito sui social e tra gli ultrà delle opposte fazioni. Espressione arricchita da un passaggio successivo che sembra essere stato studiato per rifilare una scudisciata sulla pelle di Donnarumma e Chbalanoglu: «Sono qui perché credo nel progetto del club».

Ma c'è dell'altro naturalmente e non per quel golletto siglato nel debutto francese di qualche giorno prima. C'è, per esempio il ruolo scelto in questo Milan: è lo stesso praticato da Ibra negli ultimi mesi. «Voglio essere come un grande fratello per i più giovani» e non si tratta di comparsate televisive. Ecco dunque un altro passaggio chiave del suo arrivo a Milanello: stabilire subito le affinità elettive con Ibra e far leva sulle radici dei milanisti. «La concentrazione è la parte fondamentale del nostro sport: motivazione e determinazione da parte mia saranno al massimo per portare esperienza alla squadra. Aiutare i giovani è un compito che mi ha caratterizzato anche all'Arsenal e al Chelsea» la spiegazione didascalica. «Se non si soffre in allenamento non ci si mette in gioco» è il suo mantra ripetuto prima in inglese, con qualche parolina d'italiano che non guasta e che conferma il carattere malandrino di questo francese che non ha paura degli esorcisti e nemmeno dei numeri maledetti.

«Il 9 è stato vestito da Papin, Inzaghi, Van Basten, non lo dimentico e non temo la pressione. Guardavo Papin e Sheva di cui sono amico ma quando mi ha chiamato su Facetime Maldini è stato incredibile» nel racconto Giroud non trascura nessun particolare, un po' di storia e un po' di attualità mescolate da questo giovanottone maturo e consapevole delle strepitose aspettative fondate sul suo arrivo. Con o senza Ibra non fa lo stesso. Anzi. Con Ibra può diventare la formuletta magica della prossima stagione. «Con Zlatan non è difficile capirsi, sono pronto a giocare con lui. Poi toccherà a Pioli prendere le decisioni. Ibra, secondo me, è più numero 10, un playmaker insomma» la descrizione tattica che in effetti fa conciliare la scelta di puntare sul doppio centravanti. E che Ibra rappresenti anche per Giroud un punto di riferimento lo si capisce dalla frase conclusiva, autobiografica in qualche modo. «Il nonno è ancora qui. Nel calcio è solo una questione di testa che si riflette sul corpo come può dimostrare la traiettoria di Ibrahimovic» la riflessione che è una sacrosanta verità. Come quella del suo addio dal club londinese. «Il manager voleva altri giocatori e mi sono detto che questo era il tempo per lasciare Londra e cercare altre emozioni, come quelle provate durante l'accoglienza qui a Milano».

Il resto - che non è poco - sarà il suo contributo alla causa a testimoniarlo.

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