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Ibra resta a Los Angeles. E al Milan non dispiace

Ibra resta  a Los Angeles. E al Milan non dispiace

Alla fine Ibra è rimasto con la famiglia negli Usa incassando un contratto più ricco del precedente. E a spendere quel che rimane, gli ultimi spiccioli di una luminosa carriera mai scandita dai premi più noti. Nella notte del mancato volo in classifica del Milan, spaventato dal Toro, esaltato dallo smalto recuperato di Donnarumma e frenato dagli egoismi di Higuain, Leonardo ha messo fine alle attese del messia prima di disegnare un nuovo scenario, reso indispensabile dalle misure Uefa in materia di financial fair play in arrivo a giorni. Può darsi che abbiano influito sul cambio di rotta anche i giudizi di Ivan Gazidis, il nuovo capo-azienda scelto dalla famiglia Singer, azionista di Elliot, poco favorevole all'operazione di mercato nata nelle settimane precedenti al suo insediamento.

L'arrivo di Ibra, che non poteva trasferirsi dagli Usa a Milano solo per sei mesi, inutile nasconderlo, avrebbe avuto l'effetto di provocare un piccolo ciclone dentro lo spogliatoio di Milanello e rafforzato la leadership di Gattuso, suo sodale da tempi non sospetti («se dovessi andare in guerra, porterei con me Rino», la frase di Zlatan che ha il valore di una medaglia all'amicizia e al coraggio). Alla fine, nella cabina di regia rossonera, è prevalso un disegno meno rivoluzionario e più conservatore al fine di non sovvertire la leadership di Higuain né costringere in un angolino buio l'acerbo Cutrone. Nelle prossime settimane c'è un nuovo talento brasiliano da inserire, Paquetà: Ibra, con la sua invadente personalità, invece di aiutarlo nel faticoso apprendistato, avrebbe potuto magari inibirlo rallentandone l'inserimento nel nuovo calcio, un mondo tutto da scoprire per il giovane brasiliano.

La delusione per il mancato volo in classifica, a un passo appena dall'Inter, non deve però far dimenticare in quali precarie condizioni Gattuso e il suo Milan sono costretti a vivere dinanzi all'emergenza determinata dalla sequenza micidiale d'infortuni che hanno decimato il gruppo. Resistere, anzi addirittura scalare qualche posizione in classifica, senza il contributo di Romagnoli, Musacchio, Biglia, Bonaventura e Caldara, con Higuain a digiuno da oltre 40 giorni e tormentato dal mal di schiena, non è un'impresa di poco conto. Dimenticarlo sarebbe ingeneroso.

Considerarlo un alibi, un errore fatale.

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