È il caso di fidarsi dell'Inter di de Boer. E non solo perché la presentazione in pompa magna di Gabi-gol con tanto di selfie per eccitare il popolo dei tifosi, è sembrata fatta apposta per accreditare gigantesche speranze di rilancio e di rinascita. D'altro canto il primo a scommettere, in queste ore, è stato Sunning, il nuovo azionista, che ha fissato un ricco premio scudetto (300mila euro a giocatore, il doppio di quello pagato dalla Juve) oltre a una serie di bonus per il piazzamento in Champions. È il caso di fidarsi allora perché col successo liberatorio sulla Juve, è come se l'Inter, oltre che Icardi, si sia liberata della zavorra che ha appesantito la partenza in campionato per lanciarsi in volo verso i pascoli tricolori. Certo gli appuntamenti del calendario (prima del derby d'Italia il Pescara, poi l'Empoli e domani il Bologna) hanno dato una mano all'olandese accolto tra molti pregiudizi e adesso seguito con simpatia e fede dallo spogliatoio di Appiano Gentile oltre che dalla critica. Conviene fidarsi di questa Inter rinata domenica scorsa perché, a dispetto di qualche vistosa lacuna nello schieramento (i due difensori laterali non sono all'altezza della squadra ma ora c'è il recupero di Ansaldi che rincuora), i due pezzi da novanta arrivati col sontuoso mercato, Banega e Joao Mario, hanno dato consistenza alla cifra tecnica collettiva e interpretato magnificamente il calcio voluto da de Boer. Anche il problema, inevitabile, della comunicazione tra tecnico e platea dei calciatori è stato risolto parzialmente: Frank, in attesa di offrire un decente italiano, ha preso a parlare in spagnolo (ricordo della militanza col Barcellona) e in inglese, cogliendo spesso nel segno. È una questione didattica, quindi: più passano i giorni e meglio l'Inter s'integra negli schemi, nei sistemi di allenamento del nuovo staff che ha cancellato ogni nostalgia di Mancini al quale adesso i cronisti dotati di memoria rimproverano quel famoso giudizio su Joao Mario («è un doppione di Brozovic»).
Ci si può fidare del Milan di Montella? All'interrogativo è lecito rispondere con cautela avendo a disposizione maggiore materiale, quindi dopo le prossime cinque sfide impegnative (Fiorentina, Sassuolo, Chievo, Juventus e Genoa) che segneranno da domenica notte fino a fine ottobre la dimensione tecnica del gruppo e daranno una valutazione complessiva del gran bel lavoro svolto da Montella in questo primo mese di campionato. L'esistenza di qualche perplessità è legata non al fattore tecnico o tattico, o piuttosto alla scelta, impegnativa, di puntare su qualche giovanotto di belle speranze (Calabria dovrebbe togliere il posto ad Abate vice-capitano) quanto invece al vero deficit di questo Milan. Che è soltanto psicologico perché per troppo tempo, negli ultimi tre anni, i rossoneri hanno avuto alti e bassi, impennate promettenti seguite da ricadute rovinose così da disperdere auto-stima e sicurezza, anche per via (specie l'anno scorso con Mihajlovic) di un cambio ripetuto di sistema di gioco (prima 4-3-1-2, poi 4-3-3, quindi il 4-4-2 che non è mai piaciuto a Silvio Berlusconi). Con Vincenzo alla guida, si possono anche, per esigenze specifiche, allacciare le cinture ma senza mai snaturare il dna calcistico del Milan che è quello di fare gioco, produrre azioni d'attacco e tentare di chiudere la sfida invece di rinchiudersi nel recinto di Donnarumma. A Firenze, giusto un anno fa, alla prima uscita, il Milan di Mihajlovic fece cilecca, rimase subito in dieci, prese due pappine sul muso dai viola e trasmise l'idea che ci sarebbe stato un altro anno di sofferenza.
Montella è uscito sconfitto da Napoli in modo più vistoso ma offrendo l'opposta sensazione: e cioè che, rincorrendo con fede e applicazione la sua idea di calcio, è possibile fare meglio del settimo posto e mettere le basi (con i sei under 23 ammirati contro la Lazio) per un futuro in traiettoria con la gloria berlusconiana.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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