Stefano Pioli ha tutte le caratteristiche del riparatore. È stato scelto dal Milan per questo motivo, perché giudicato capace di salire sul treno lanciato del campionato e di provvedere a quei pochi, mirati, aggiustamenti da esperto della materia. «Ho tre principi: idee, intensità e spregiudicatezza» la sintesi del suo calcio artigianale fatto di pochi concetti e di molti consigli dedicati ai giovani apprendisti del nuovo gruppo. «Ho idee diverse da quelle di Giampaolo, voglio far giocare un calcio che li metta a loro agio» è il nuovo precetto di Milanello dal quale sono stati banditi i vecchi comandamenti. A giugno, quando Giampaolo debuttò nello stesso salone di casa Milan, scelse di recitare il ruolo di anti-Conte: «Testa alta e giocare a calcio» promise. Pioli è l'omega di quell'alfa. «Né testa alta, né testa bassa: io mi adatto. Mi sento piuttosto un insegnante, penso di far esplodere le tante qualità del gruppo. Il mio slogan è vincere» ripete distribuendo mezzi sorrisi, il suo scudo protettivo nel primo giorno della nuova avventura, una sorta di capovolgimento del precedente mondo Milan.
Non lo spaventa lo scetticismo universale con cui è stato accolto a Milano («Ho grande rispetto per i tifosi, sarà uno stimolo in più» la convinzione). Sarà forse anche la sua fortuna. Perché le aspettative sono sprofondate sotto zero: dovesse andargli benino, agli occhi dei tifosi oggi in rivolta metterebbe a segno un capolavoro. Non teme nemmeno quell'accusa banale e anche un po' medioevale di tifo interista. «Ero un ragazzo, adesso sono un uomo con barba e pelato» segnala per far capire la distanza tra la passione coltivata in gioventù e il rigore professionale di oggi. «Davide Astori sarebbe contento di vedermi a Milanello» racconta alla tv del club ricordando il capitano della sua Fiorentina formatosi alla scuola rossonera.
Pioli, che nello staff avrà il figlio Gian Marco, racconta anche qualche bugia bianca («mi hanno contattato lunedì, ho visto tutte le partite del Milan»: orologio alla mano è impossibile) per far capire che è preparato a guidare «una buona squadra, con delle potenzialità» sfruttando un grande vantaggio. «Abbiamo 31 giornate davanti, possiamo ancora recuperare e lottare per tentare di arrivare in Champions league. Bisognerà avere coraggio e dare tutti qualcosa in più» è il suo atto di fede dopo che Gazidis ha rimesso dinanzi a lui e ai responsabili dell'area tecnica, Boban, Maldini e Massara, l'obiettivo del 4° posto, al momento lontanissimo. Non ha ancora scelto il sistema di gioco, o forse l'ha già battezzato (4-3-3) e ha distribuito giudizi lusinghieri per i più chiacchierati medicando le ferite prodotte dagli appuntiti aggettivi di Giampaolo. «Paquetà? È una mezz'ala completa» il primo esempio. «Piatek? È molto efficace dentro l'area, è condizionato dal resto della squadra» la risorsa più vistosa da recuperare. «Leao? Ha grandi potenzialità.
Suso? È indiscutibile» le altre tessere del mosaico che sta allestendo da ieri pomeriggio. Prima di mettersi a studiare il Lecce e di chiudere con una promessa solenne. «Mai mollerò la presa» come capitò appunto a Firenze.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.