"Io e gli Abbagnale? Una sola persona"

"Io e gli Abbagnale? Una sola persona"

Un metro e 55 centimetri di grinta, tenacia e sacrificio. Giuseppe Di Capua, per tutti Peppiniello, è entrato nel cuore dello sport italiano perché timoniere e cocchiere di Giuseppe e Carmine Abbagnale, i Fratelloni d'Italia con i quali, dal 1981 al 1993, ha conquistato due ori olimpici nell'84 e '88 e un argento nel '92, oltre a 7 titoli iridati. A 60 anni, compiuti oggi, Peppiniello ricorda quel lungo sodalizio.

Quand'è sbocciato l'amore per i remi?

«Ho iniziato all'età di 14 anni, ancora prima degli Abbagnale. La nostra fortuna è stata che eravamo tutti e tre nella stessa società, il Circolo Nautico Stabia. Da lì in poi e per vent'anni io, Carmine e Giuseppe abbiamo gareggiato quasi sempre assieme. Ci fidavamo l'uno dell'altro e solo così siamo riusciti a rimanere sempre gli stessi e a raggiungere risultati eccezionali».

A Los Angeles e Seul i trionfi olimpici.

«Nell'84 fu un'Olimpiade strana per via del boicottaggio dei paesi dell'Est. In Corea, invece, c'erano tutti. Ma noi venivamo dalle vittorie mondiali e tutti si aspettavano la medaglia pesante. Abbiamo centrato l'obiettivo. A Barcellona, invece, è svanito il terzo oro di fila». Non è uno che molla facilmente. A Rio, a 58 anni, ha preso parte pure alle Paralimpiadi.

«In Brasile è stata una bellissima esperienza. Lo sport deve essere un trampolino di lancio per tante cose positive nella vita, un traino verso la positività».

Il bilancio 2017 del canottaggio azzurro?

«È sulla buona strada, come dicono i risultati».

Si vede ancora con i Fratelli?

«Non mancano le occasione per sentirci e vederci, perché dopo tanti anni vissuti assieme è come se fossimo una sola persona».

C'era un rituale a cui non poteva sottrarsi.

«I miei compagni mi buttavano in acqua. Lo accettavo volentieri, anche perché significava che era arrivato un successo». Un tuffo nel passato d'oro.

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