di Marco Lombardo
Magari qualcuno sarà capace di storcere il naso, ma è andata com'era logico che fosse. Abbiamo sognato, ed era normale. Ha sognato anche Sinner, ed è giusto che fosse così. Ma la differenza tra Djokovic e il resto del mondo è ancora evidente. Non è dunque questione di Jannik,
è questione che il serbo vuole zittire chi non lo ama - come ha fatto ieri quando ha salvato due set point nel terzo set -, arrivando all'assoluto del Grande Slam. E quindi: nel mese di luglio di 22 anni fa un giovane di belle speranze batté Pete Sampras a Wimbledon rubandogli il giardino preferito. Qualcuno pensava che fosse la volta buona che la storia si ripetesse, che l'impresa dell'allora giovane Roger Federer fosse oggi di colui che lo ha come mito sulla strada della gloria. E invece l'esame è rimandato, perché il successo in uno Slam arriverà, ma c'è ancora un po' di strada da percorrere per trasformare i momenti importanti di un match in un punto vincente. Djokovic lo fa in automatico: sotto di una palla break, la annulla con un ace; sotto di un set point, si mette a spazzolare le righe di fondo. E quando arriva al tie-break alza il livello all'impossibile, là dove nessuno può arrivare. La finale di domani insomma potrebbe solo sancire l'inesorabile, anche se pure Novak è un uomo e a volte se lo ricorda (vedi la sfida persa con Medvedev a New York 2021 quando il Grande Slam sembrava già suo). Mentre Jannik torna ad allenarsi per il futuro, quando lui, Alcaraz e Rune saranno i Big Three, con Musetti pronto a fare il quarto uomo. Ormai è certo: il tennis non ci lascerà orfani, però deve aspettare che l'uomo più cannibale della storia finisca il suo compito.
Intanto ci ha regalato Jannik Sinner, la sua prima semifinale Slam e, speriamo, il ritorno di Matteo Berrettini a prendersi ciò che il destino gli ha tolto. Wimbledon ci lascia questo, e chi si ferma (a lamentarsi) è perduto.
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