Jannik spreca troppo e perde con Carlitos una finale epica al Roland Garros

Avanti 2-0 l'azzurro non chiude con tre match point e si inchina allo spagnolo

Jannik spreca troppo e perde con Carlitos una finale epica al Roland Garros
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Maledetto, meraviglioso tennis. Maledetti match point, maledetto quel rovescio che ancora urla ingiustizia. Maledetto, detto con grande stima s'intende, Carlos Alcaraz, che si è messo a giocare solo meraviglie quando sembrava finito. Grande Jannik Sinner, comunque, battuto soltanto dopo 5 ore e 29 minuti di vera sana follia, in una partita che aveva in mano, che poi ha perso, e che poi ha quasi vinto di nuovo e alla fine che gli è sfuggita in un super tie-break che ha deciso tutto il Roland Garros in pochi colpi. È finita male, questa volta, eppure diciamolo: che capolavoro, lo stesso.

Se esiste una Gioconda del tennis, questa finale di Parigi si avvicina molto al concetto. I primi due del mondo in quella che diventa la finale più lunga della storia del Roland Garros, una lotta colpo su colpo, per un 4-6, 6-7, 6-4, 7-6, 7-6 che sorride allo spagnolo ma non spiega bene perché Sinner abbia perso. Certo, questione anche di tenuta fisica: il nostro fenomeno è tornato in campo solo un mese fa, gli alti e bassi e i crampi all'inizio del quinto set si spiegano anche così. Però è arrivato in fondo, non ha mai mollato, si è arreso solo quando Alcaraz ha cominciato a tirare una serie di colpi impossibili, quando ha capito che sennò non ce l'avrebbe fatta. La Gioconda sta qui, nel fatto che vincitore e vinto escono da Parigi a testa altissima. Il tennis sono loro.

Sì, poi certo: farà molto male per un po'. Ma pensandoci bene alla fine questo è il gioco del diavolo, ed è bello anche per questo. Alcaraz resta la bestia nera di Sinner (sale 8-4 nei confronti diretti), ma è mancato davvero un millimetro perché non fosse così: due set e un break avanti, e poi 5-3 nel quarto set con appunto i tre match point da sfruttare (uno sprecato con il facile rovescio) sul servizio dell'altro, e in quel momento eravamo tutti come mamma Siglinde, in tribuna, con le lacrime agli occhi. Maledetto e meraviglioso tennis, noi che speravamo che fosse tutto finito e che invece poi abbiamo avuto in regalo un seguito ancora più bello, con un Alcaraz avanti nel quinto set e a un passo dal successo, e con Jannik che supera se stesso e la fatica per tornare avanti per giocarsi tutto nel tie-break a 10 punti: a quel punto il crollo, ma è davvero mancato solo un maledetto millimetro.

Che delusione amarissima, e che infinita bellezza: questa partita è la risposta a chi a volte si chiede cos'abbia il tennis di così emozionante. È un po' come la vita, che regala emozioni e delusioni, che ti tiene con il fiato sospeso, che ti insegna a lavorare, a soffrire, a resistere, e che non è mai finita finché non è finita. E quando lo è, comunque ti darà un'altra occasione. Si è visto di tutto in questo capolavoro di partita: passanti impossibili, smorzate di precisione, diagonali brucianti, recuperi impensabili. Come dire: non bisogna mai sorprendersi di nulla. E poi si sa, vincere è gioia meravigliosa ma effimera, fallire la molla che ti fa guardare a avanti: ci sarà un domani. «Stasera è più facile giocare che parlare: dico che stanotte farò fatica a dormire» racconta Jannik, e in fondo è la realtà di tutti noi, ogni tanto. Bisogna prenderla con sportività, così come hanno fatto lui e Carlos arbitrandosi spesso da soli per correggere i (troppi) errori dei giudici di linea. E così come ha fatto il vincitore, sinceramente, per rendere onore allo sconfitto: «Jannik, il tuo livello è stato straordinario, so quanto ci tenevi a questo torneo, lo vincerai tante volte.

È stato un privilegio dividere il campo con te: sono felice che stiamo scrivendo insieme la Storia del tennis». Che storia, che partita, che Gioconda. E ironia della sorte, per un scherzo della classifica mondiale, nonostante tutto oggi Sinner aumenta il vantaggio su Alcaraz. È il tennis, maledizione.

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