"La lezione spagnola è iniziata dieci anni fa"

Intervista a Roberto Donadoni. "Gran lavoro sui settori giovanili. Noi invece puntiamo sul fisico, non sulla tecnica"

"La lezione spagnola è iniziata dieci anni fa"

Caro Donadoni ha visto che tremenda mazzata per la Nazionale a Madrid?

«Ho sentito più che visto in diretta perché a quell'ora ero in viaggio verso la Puglia. E immagino, come nelle migliori tradizioni, che saranno già cominciati i processi in piazza».

Tre gol subiti venerdì pomeriggio a Toledo dall'under 21, tre gol dal club Italia a Madrid: non è un passivo umiliante per un calcio quattro volte campione del mondo?

«La contabilità delle due sfide è molto pesante ma se vogliamo, per una volta, comportarci in modo razionale e virtuoso, dobbiamo esaminare le cause dei risultati e non invece gli effetti».

La vecchia guardia, da Buffon a Bonucci, lo stesso ct Ventura che ha schierato un 4-2-4 giudicato a posteriori sconsiderato, sono già finiti davanti al plotone d'esecuzione

«Mi sembra scontato anche questo risvolto del giorno dopo. E a chi insegue dei colpevoli a ogni costo chiedo banalmente: sarebbe andata in modo diverso se il ct avesse adottato un altro sistema di gioco? Io penso e credo proprio di no».

C'è chi immagina che la differenza sia stata determinata soltanto dalla diversa salute fisica dimostrata dai due gruppi: può essere?

«È riduttivo pensarlo e non porterebbe a esaminare in profondità la questione».

Da dove bisogna cominciare allora?

«Dallo studiare quel che è accaduto in Spagna negli ultimi dieci anni, per esempio e in particolare dall'europeo del 2008».

Lei era il ct di quella Italia che uscì dal torneo dopo la sfida con la Spagna

«Finì 0 a 0 anche ai tempi supplementari. Poi De Rossi e Di Natale sbagliarono il rispettivo rigore. Ma allora scoccò una scintilla in Spagna».

Fu l'inizio di una grande cavalcata

«Sarebbe da sciocchi immaginare che improvvisamente, dopo anni di magri risultati a livello di Roja, dagli alberi siano spuntati come frutti inattesi i migliori talenti del calcio spagnolo. Hanno invece cominciato negli anni precedenti a lavorare sulla base, dai settori giovanili: quelli sono gli alberi da cui sono spuntati i frutti. E il salto di qualità definitivo è avvenuto quando il Barcellona di Guardiola, nel maggio del 2009, ha vinto la Champions league contro il Manchester United a Roma inaugurando un ciclo vincente e imponendo un tipo di gioco che ha stregato e contagiato tutto il movimento. Bisognerebbe tra l'altro controllare il palmares delle nazionali giovanili spagnole di questi ultimi dieci anni per certificare il numero dei loro successi e misurare quindi il fossato scavato tra il loro calcio e il nostro».

Da noi, nei settori giovanili, cosa accade invece?

«Passa l'insegnamento che la qualità fisica ha la prevalenza su quella tecnica, che il risultato è l'unica ragione di vita e che la mentalità giusta è quella che si respira nel calcio di serie A. Dove per esempio chi arriva secondo, magari praticando un gioco divertente, diventa un magnifico perdente e viene irriso dalla tifoseria avversaria».

Adesso sarà complicato qualificarsi per il mondiale in Russia?

«Anche qui, come al solito, passiamo dall'ottimismo registrato nei giorni precedenti la sfida di Madrid, a un cupo

pessimismo per il futuro. Molto dipenderà dallo spessore dell'avversario che incroceremo nei play-off a novembre ma ce la faremo. E, ecco il mio auspicio, quella di Madrid diventerà una lezione utile per tutto il movimento».

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