F ossimo in Vincenzo Montella organizzeremmo una seduta spiritica per ricacciare indietro la maledizione. Già, perché non è il primo allenatore del Milan che, dopo l'incrocio con il Sassuolo, ci ha rimesso la panchina ma non la carriera. Il primo della lista a finire impigliato nella diabolica rete fu Max Allegri, al quarto anno in rossonero, sul petto la medaglia d'oro dello scudetto, ultimo della strepitosa serie berlusconiana: al culmine del girone di ritorno rimase folgorato da una incredibile rimonta del Sassuolo firmata da Berardi (4-3) e il giorno dopo si ritrovò esonerato. Arrivò di corsa dal Brasile Clarence Seedorf: fece rialzare la panchina di San Siro, spedì una mail a Tassotti suo vice per raccomandargli meno suggerimenti durante le partite, disertò l'allenamento il giorno dopo l'eliminazione per mano dell'Atletico Madrid e si classificò ottavo chiudendo la sua parentesi col Sassuolo (vinse la sfida ma non bastò a salvare l'incarico). L'anno dopo toccò a Filippo Inzaghi che proprio col Sassuolo, a Milano, il giorno della Befana, inaugurò una striscia orribile lunga due mesi che fece scivolare il Milan dai primi posti della classifica nelle retrovie: Zaza e soci tatuarono il successo che decretò l'inizio della fine della sua esperienza in rossonero. Neanche a Mihajlovic, la stagione successiva, andò meglio perché sempre a Reggio Emilia, mese di marzo, il Milan andò nuovamente sotto e di lì a qualche settimana il serbo venne sostituito da Brocchi.
Più che una maledizione, il Sassuolo è diventato per l'ultimo Milan, una sorta di incubo come quello che nella storiografia rossonera fu legato alla fatal Verona a metà anni Settanta ma per motivi ben più prestigiosi. Allora il paron Rocco, di ritorno da Salonicco con la coppa delle Coppe, ci rimise lo scudetto. Qui Montella, più volte finito sull'orlo del precipizio, è dinanzi a un bivio dopo aver ricevuto una sequenza di ultimatum, ultimo quello firmato da Fassone («più che il gioco c'è bisogno di risultati») prima di volare in Grecia, ad Atene, dove non si sono visti né l'uno né l'altro. E dove tra l'altro l'assenza di gol è diventata un deficit inquietante, ingigantito purtroppo da alcune frasi del tecnico che invece di avvicinarlo al popolo milanista lo stanno, frase dopo frase, allontanando.
Se Allegri pagò le divergenze con il presidente Berlusconi, se Seedorf ruppe con mezzo spogliatoio tanto che tre senatori andarono ad Arcore per chiederne l'allontanamento, se Inzaghi pagò gennaio e febbraio orribili seguiti da una serie d'infortuni, se a Mihajlovic misero in conto scelte discutibili, a Montella possono addebitare le gigantesche aspettative provocate dal mercato sopravvalutato e tradite da una classifica deprimente, da un gioco deludente e da una condizione fisica disarmante.
Dopo Montella toccherà al traghettatore Gattuso nella speranza di convincere Conte a misurarsi con le ambizioni del Milan cinese dalla prossima estate. Perciò domenica sera, a Reggio Emilia, Montella si porterà in tasca qualche cornetto da toccare.
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