L'ItalAtletica adesso fa l'americana. Marcell, uno sbarco stile Hollywood

Ecco il campione in carica dei 100 che alza subito la voce alla vigilia dell'anniversario del trionfo di Tokyo, 10 minuti dopo l'oro di Tamberi

L'ItalAtletica adesso fa l'americana. Marcell, uno sbarco stile Hollywood
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- nostro inviato a Parigi -

La prima vigilia olimpica in cui ci sentiamo un po' americani è andata in scena ieri fra i molti tricolori di Casa Italia. A mezzogiorno sono arrivati Nadia Battocletti tranquilla perché «i due europei 5000 e 10000 mi hanno dato fiducia», Lollo Simonelli ringalluzzito perché «dai miei 110 ostacoli voglio uscire con il collo pesante e la pancia piena» e Leo Fabbri silenzioso perché parlerà poi. Nel primo pomeriggio è arrivato lui che ha nome e cognome americani, sembra un americano, si allena in America con un coach americano ma è costantemente e terribilmente italiano. Di più: bresciano. Marcell Jacobs. Sensazione d'euforia nazionalpopolare, domande, scatti, foto, video, caffé, cocacola, prosecchi, biscottini in una hollywood sportiva da toccare con mano. Invece è atletica. Ma c'è tutto per far bei sogni dopo aver fatto bei ricordi: tre anni fa oggi, in dieci minuti, Marcell e Gimbo portarono a casa quegli ori meravigliosi e storici.

«Sento vibrazioni positive» dice Marcell con una calma che rasserena anche l'Hollywood attorno, «mi sento benissimo nel villaggio, rispetto a Tokyo appena arrivato sono già riuscito a godermelo un po'... E nel primo allenamento tutti assieme ho anche annusato un po' i miei rivali». Vedi Noah Lyles che giusto per sottolineare che gli americani veri sono loro, ha mandato a dire al nostro che «sarà diverso da Tokyo, sono fuori dalla depressione, voglio solo entrare subito nella gabbia dei leoni». Ed entrando si porta quel 9''81 corso a Londra due settimane fa. Non sarà solo lui il rivale del nostro, e infatti Marcell lo disinnesca a parole «ma il più veloce è il giamaicano (Thompson, 9''77). Finita la scorsa stagione mi ero posto tre obiettivi: stare bene, e lo sono stato; vincere gli europei in casa e li ho vinti; e rivincere l'olimpiade. La parte più complicata sarà la semifinale, siamo in 15 o 16 che possiamo andare avanti, ma in finale domenica ci entrano in otto».

Hollywood lo ascolta rasserenata ma serpeggia un che di diffidenza. Come se gli ultimi anni avessero tolto un po' di fiducia incondizionata e il 9''92 del mese scorso, in coppia con Chituru Ali (9''96) non bastasse a dissipare perplessità. Marcell lo percepisce e dice «Rieti, la pista dove ho fatto l'ultima simulazione, non è performante, per cui quel 10''08 non fa testo...». E racconta delle ultime prove su quei «primi 15 metri al via in cui vado un po' in stallo. Sono andate benissimo, anzi, a un certo punto coach Reider mi ha detto di smetterla, che le avevo fatte benissimo, ma io ne ho provata un'altra ed è andata ancor meglio. Sto bene... sto bene e l'obiettivo è quello: ripetersi. So che tutti si aspettano molto da me, io per primo, e mi dà autostima affrontare questa gara da campione in carica, in fondo il primo oro non me l'ha regalato nessuno per cui se l'ho fatto una volta, perché non dovrei riuscirci di nuovo?».

Hollywood non applaude ma vorrebbe, certamente tira un sospiro di sollievo, Marcell è carico a molla e se ne accorge per cui rincara la dose: «Certo, c'è tanta pressione, l'avverto, ma so come trasformarla in energia, ho lavorato molto a livello mentale per riuscire in questo. Il primo obiettivo non è il tempo, ma organizzarsi per andare avanti cercando di fare meno errori e senza focalizzarsi su chi hai accanto. Reider ha detto che ha allenato molti campioni stronzi e io non lo sono, che sono un family man? Mi piace questo e, sì, negli Usa ho portato la mia italianità che ha contagiato gli altri. Non è che perché sei un campione olimpico devi per forza diventare uno... Comunque tranquilli, mi mancava un 1% e l'abbiamo recuperato di recente: mai corso così forte in allenamento come negli ultimi giorni».

Curioso. Nonostante le rassicurazioni di Marcell, è stato però Leo Fabbri, il maciste toscano del peso, l'azzurro che ci ha fatto sentire più americani: perché lui il re della specialità, lo statunitense Ryan Crouser, l'ha battuto proprio a Londra, dove Lyles ha stampato il 9''81. «Ryan è un mito, una leggenda, in dieci anni non aveva mai perso contro un europeo, per cui Londra mi ha caricato, per noi Ryan è Michael Jordan...

Però quella dichiarazione dei giorni scorsi, quando ha detto che se facessero dei trials a livello mondiale, gli americani farebbero primo, secondo e terzo posto, non mi è piaciuta... Sono i più forti ma quando ti punzecchiano così ci gasiamo».

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