nostro inviato a Londra
A Barcellona, giochi olimpici finiti in gloria, lui giocava e l'altro stava in panca. Adesso fanno i guru della pallanuoto. L'altro è Ratko Rudic, ct della Croazia. Lui è Sandro Campagna, conosce l'arte del ct per tutte le stagioni. Ti cucina con le parole, eppoi seguono i fatti. È un vincente, un reduce dall'ultimo oro olimpico targato 1992. Tutto cominciò a Londra 1948: nacque il settebello con Rubini e compagnia. Oggi quel nome è un brand. «Tutti ci conoscono come settebello. Allora facciamolo fruttare. Più marketing non guasta». Campagna ha occhio, è un innovatore, un uomo di mondo. Stasera giocherà un'altra partita: il giovane e il vecchio, lo stregone e l'apprendista. Campagna rovinerà l'amicizia con Rudic?
«Nemmeno per sogno. Con Rudic c'è un affetto che va oltre la finale olimpica. Sono stato suo giocatore, poi suo assistente. Mi ha introdotto alla professione. Avrei fatto il porta palloni pur di stare con lui. Per due anni sono stato zitto. Ho ascoltato i consigli, studiavo di notte pur di dargli le informazioni che mi chiedeva» .
Vent'anni dopo, l'Italia torna a giocarsi una finale olimpica, Sandro Campagna in panchina, Rudic contro
«Non vivo la vigilia contro Rudic, ma contro la Croazia. Loro hanno pochi punti deboli: dovremo trasformare la loro fiducia in incertezza. Dovremo sgretolare un muro. Come dire: sbrinarla. Ci vuole un'altra impresa, con cuore e testa».
Bella sfida tra allievo e maestro? Comunque la si guardi.
«Detto così significa che ho raggiunto certi livelli. Ma è inimmaginabile sorpassare Rudic. Non potrò mai raggiungerlo. Lui deve essere alla quarta finale olimpica, per farcela dovrei arrivare al 2028». Sorriso.
La lezione di Rudic?
«Capacità di analisi a prescindere dal risultato. Le sue squadre hanno forza mentale».
C'è tanta differenza fra questa Italia e quella del 1992?
«Questa è meno talentuosa. Allora c'erano 6-7 fuoriclasse. La sua forza sta nell'umiltà e nel gioco collettivo. Però c'è qualcosa che mi emoziona quando la vedo giocare».
Con l'altra oggi saremmo stati più tranquilli?
«Attenzione, nel'92 siamo stati anche fortunati. Non c'era la Jugoslavia in guerra. Oggi ci sono tre nazionali della ex Jugoslavia. È ancora più difficile».
Calcisticamente a chi paragonare la Croazia?
«Direi Argentina, quella in cui c'era un fuoriclasse, ma anche quelli che menavano».
Lei allievo di Rudic, ma adesso ha cambiato strada...
«Abbiamo preso una strada nuova. Il gioco di Rudic presuppone forza mentale, controllo su tutto, ti passa sopra come un carro armato. Il nostro gioco aveva una lettura troppo logica, lineare. Invece guardate il basket: ci sono blocchi, tagli, entrate parallele, tanta diversità. Ci abbiamo provato, almeno per un paio di anni disorientiamo gli avversari».
Brevettato?
«No, però abbiamo visto gente felice, quelli di altre nazioni: abbiamo dimostrato che si può vincere con un gioco diverso».
Chissà quanti le avranno proposto una panchina?
«Il corteggiamento c'è stato, nazioni dal sesto posto in giù. Ma è bastata una stretta di mano col presidente federale».
E quei baci rivolti a chissà chi dopo la vittoria con la Serbia?
«Erano per Premus, ha segnato un gol bellissimo e importantissimo. Una cosa spontanea per un giocatore che ho scoperto: bella sorpresa».
Premus è croato di origine, diventato una sorta di oriundo. Una politica che paga?
«La federazione è stata brava nel limitare il numero degli stranieri e non ha accettato la facile italianizzazione. Non basta avere il passaporto, bisogna prendere anche la cittadinanza».
Questa nazionale ha un allenatore in campo?
«Hanno fatto tutti il corso allenatori e preso il brevetto. In campo ci sono 5-6 allenatori del futuro».
E ha raccontato a tutti quella volta nel 1992
?
«Così tanto che ora non vedono l'ora di vincere. Così parleremo di quelli del 2012».
Il suo Pirlo?
«Con Felugo ho grande intesa. Lui richiama i ragazzi, pensa a far rispettare il gioco in campo».
C'è un segreto a questo nuova via della pallanuoto?
«Abbiamo smesso di dare colpa al presidente federale, al presidente del consiglio, al presidente della Repubblica. Incolpavamo gli altri senza guardarci dentro. Ora da tre anni andiamo sul podio. Questa è la strada».
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