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Luca e Claudio in Panda dall'Italia alla Mongolia

Due giovani pavesi su una vecchia utilitaria per una missione nobile: salvare l'Amazzonia

Roberta Pasero

Vigevano (Pv)Questo è il racconto di un rally alla rovescia. Che si chiama Mongol Rally, ma in realtà parte da Praga, attraversa le strade più impervie di due Continenti, entra soltanto per un breve tratto in Mongolia e finisce a Ulan Udè, in Siberia, Russia. Che non prevede la partecipazione di automobili superperformanti 4x4, ma per regolamento ammette vetture prossime alla rottamazione, over 10 years e di cilindrata possibilmente inferiore ai 1.000 cc e mai superiore ai 1.200 cc. Che obbliga i partecipanti a raccogliere tra i supporters minimo 1.000 sterline da donare in beneficenza almeno per metà a Cool Earth, organizzazione no profit che si batte per la salvaguardia della foresta amazzonica.

E che non è un rally competitivo e, dunque, non ha un classifica ufficiale, tutti e nessuno sono i vincitori.

Per questo non c'è da sorprendersi se chi decide di prendervi parte sia guidato da uno spirito d'avventura stemperato da una certa stravaganza. Come il Rising Khan Team, nome ispirato naturalmente a Gengis Khan, ovvero Claudio Asta e Luca Strobino, 26 anni per due, di Vigevano, neo laureati in medicina e in ingegneria spaziale, protagonisti del Mongol Rally 2019.

Duecentonovanta equipaggi, una decina italiani, 26.600 chilometri da Vigevano a Ulan Udè, 15mila all'andata e gli altri al ritorno, 23 stati attraversati in 52 giorni di avventure e disavventure. «Abbiamo inseguito un sogno, quello di fare il viaggio della vita, arrivando dall'altra parte del mondo seguendo la via più difficile», racconta Claudio Asta. «Lo abbiamo fatto per sfidare noi stessi, ma anche per amore di conoscenza, convinti che il modo più bello per imparare sia proprio viaggiare».

Steppe, deserti, montagne, sterrati, mulattiere, polvere, buche, notti sotto le stelle e incontri ravvicinati con orsi in libertà. Asta & Strobino sono stati pronti a tutto per mettersi sulle orme di Marco Polo. Prima hanno dovuto scegliere un'auto anagraficamente vintage. E, in dubbio tra una Twingo del 1998 e una Ford Ka del 2000, hanno acquistato da un meccanico una Panda Young 900 rossa del 1996. Con 23 anni e 120mila chilometri d'esperienza sulle strade lombarde. «Abbiamo scelto la vettura dalla meccanica più semplice, che fosse essenzialmente un pezzo di lamiera con quattro ruote attaccate, perché in caso di guasto fosse facile da riparare», spiega Asta. «Poi l'abbiamo fatta trasformare perché fosse adatta a ogni tipo di percorso, con una piastra di rinforzo per proteggere coppa dell'olio e parte anteriore del motore contro i danni dello sterrato, un'altra per il serbatoio, una bullbar anteriore contro gli urti, una sbarra nel cofano per collegare i due ammortizzatori e rinforzare il telaio. Abbiamo aggiunto una ventola ad accensione manuale all'interno del cofano per raffreddare il motore, fatto togliere il termostato perché il liquido refrigerante continuasse a girare senza interruzione nel motore e non solo oltre i 90 gradi, ed eliminato anche riscaldamento e aria condizionata per migliorare le prestazioni».

E poi in viaggio con il bagaglio della Panda riveduta e corretta pieno di pezzi di ricambio, hanno percorso la Via della Seta, unendo i punti sulla carta geografica. Slovacchia, Iran, Uzbekistan, Tajikistan, Kirghizistan, Kazakhstan, il Bosforo, i Carpazi, la porta dell'inferno ossia il cratere del Karakum, in Turkmenistan, che brucia ininterrottamente dal 1971, e poi in ascesa a 4.655 metri, all'Ak Baital Pass, il secondo più alto carrozzabile al mondo, da raggiungere per gli ultimi duecento metri a piedi, con la Panda che proprio non voleva saperne di arrivare lassù. «Gli imprevisti ci sono stati. Ma abbiamo conosciuto persone locali straordinarie e ospitali, la vera ricchezza di questo viaggio, che ci hanno ripagato dallo stress di un percorso difficile e dissestato per migliaia di chilometri».

Ma non sempre, si sa, c'è bisogno di strade tracciate per realizzare i propri sogni.

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