Saltella felice insieme ai suoi giocatori e allo Xavi che solleva la sua ultima Coppa con la maglia del Barcellona. E mentre torna in campo dopo la premiazione canta a squarciagola l'inno del Barcellona insieme a mezzo Olympiastadion. Chissà se il primo pensiero di Luis Enrique sarà stato lo stesso di qualche tempo fa: «E ora cosa posso fare di più?». Realizzato il Triplete al primo tentativo come successe all'amico Guardiola nel 2008-09, portato il Barcellona nella storia della Champions visto che è la prima formazione a fare il bis dei sette club «mangiatrofei» della stagione, eguagliati Liverpool e Bayern Monaco capaci di vincere cinque volte la Coppa dalle grandi orecchie.
La tentazione di fermarsi di nuovo, come fece dopo l'esperienza ben diversa a Roma, è forte. Perché Luis Enrique è un Hombre vertical . Ha ancora un anno di contratto, c'è la prospettiva di salire sul trono del re del mondo a Tokyo in dicembre, ma lui forse non ci sarà. Non ha ancora dato certezze sul futuro e questo successo paradossalmente rende ancora più difficile la sua decisione. È probabile che stia pensando di lasciare la casa madre per fermarsi ancora una volta. Magari per correre, nuotare e dedicarsi alla sua passione per il triathlon, ed educare con più attenzione i suoi figli.
«Siamo arrivati fin qui e ora tutti insieme vogliamo lasciare una traccia nella storia del club», aveva detto alla vigilia colui che diciotto anni fa da giocatore trionfò con il Barça nella Coppa delle Coppe. Ieri sul prato dello stadio di Berlino ha riconosciuto i meriti dell'avversario. «La partita è stata complicata come doveva essere, la Juve è un avversario tosto che ha fatto una bella finale - cosi Luis Enrique -. Noi siamo stati bravi nel ripartire, credo che si siano visti i nostri campioni, alla fine la nostra vittoria è giusta. Mi dispiace per Buffon che è un grande portiere e un grande uomo, ma anche per Pirlo, due campioni veri». E sul futuro dice: «Per il prossimo anno vediamo, ora voglio solo godermi questa notte. Saluto un mio amico romanista e in genere tutti i romanisti che stasera saranno felici e la società».
L'altra faccia della medaglia è quella di Massimiliano Allegri, già capace di un vero e proprio miracolo sportivo. Chiamato al capezzale della Signora che secondo Antonio Conte (il suo predecessore) non poteva sedersi a un tavolo da 100 euro con soli 10 in tasca, è riuscito a ridare maturità europea alla truppa bianconera. È vero, la Juventus perde la sua sesta finale di Coppa dei Campioni delle otto disputate (è il quarto ko di fila), ma ha ritrovato il prestigio che a livello internazionale ora tutti tornano a riconoscerle. La sconfitta di Berlino, onorevole per come è arrivata, sarà un importante punto di partenza.
«Abbiamo fatto una stagione straordinaria e una bella finale - così l'allenatore della Juventus molto sereno dopo la partita -. Nel momento migliore nostro abbiamo subìto un gol da polli, anche se poi abbiamo avuto due occasioni per pareggiare. Dal punto di vista tattico è stata una gara ben giocata, abbiamo sofferto sui loro cambi di gioco e poi loro hanno tre fenomeni lì davanti.
Quando sembra che hai la partita in mano, devi stare più attento contro grandi squadre. E poi gli episodi, dalla deviazione del difensore alla palla rimasta tra i piedi a Llorente. Più di questo non potevamo fare in quest'annata bellissima, ora l'obiettivo è consolidarsi tra le prime otto d'Europa».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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