Europei 2020

Mancini, il "capopopolo" dal colpo di tacco

Sfatati i luoghi comuni sulla Nazionale non allenabile con idee e compatezza

Mancini, il "capopopolo" dal colpo di tacco

Il colpo di tacco non è solo la specialità della casa, è piuttosto una filosofia calcistica. E Roberto Mancini ci prova sempre: qualche volta gli va bene (resuscitò l'Inter pre mourinhana insegnandole a vincere), altre volte un po' meno (la seconda esperienza a Milano si arenò fra acquisti svirgolati e incomprensioni con un presidente affarista). Però in questa nazionale si ritrova tutto il Mancini esploratore di mondi d'avventura. In qualche modo capopopolo. Lui dice: io ci provo. Non c'è stato presidente che non si sia sentito dire: voglio vincere. In nazionale ha ripetuto la stessa frase idiomatica. E tutti a pensare: ma dove vai, questi non sono andati ai mondiali? Dove trovi i giocatori? Invece, allenare la nazionale era soluzione ideale per Mancini: intuisce la qualità e ci prova. Inesorabilmente attratto dal piacere del rischio, dal colpo d'occhio sulla bontà di un giocatore. È dote di natura, come capita ai fuoriclasse: vedono autostrade dove altri vedono sentiero (Boskov docet). All'Inter chiese Pato, Hamsik e Yaya Tourè: quando ancora non avevano pedigree.

L'ultimo colpo di tacco, invece, è stato di natura psicologica: concedere a tutti la chance di giocare qualche minuto all'europeo. Vale più questa sfida, con i rischi di un cambio sbagliato, che cento discorsi su tecnica e tattica. Bearzot faceva gruppo come fosse una roccaforte, Mancio è bearzottiano a modo suo. E se, fino a qualche anno fa, Mancini veniva criticato, o apprezzato, a seconda dei risultati, stavolta i risultati parlano da soli: non si resta imbattuti in 30 gare per caso. Un ct capopopolo e rivoluzionario, ha smentito i luoghi comuni sulla nazionale: non si può allenare, diceva Sacchi. Serve tempo per dare gioco, mentalità, abitudini, ci raccontavano altri profeti. Invece sono bastate poche partite per intravedere una idea, la compattezza di un gruppo. Forse il lavoro di costruzione ha sorpreso perfino il ct. Che, però, già due anni fa si dava una spiegazione: «Questi ragazzi hanno voglia e fame». Poi ha messo del suo, andando a pescare talenti. Come i grandi giocatori, il ct ha sempre pensato che il calcio non sia così complicato come vorrebbero spiegare i cosiddetti maestri. La frase rituale dice: «Divertitevi, questo è il gioco più bello del mondo». Ma, non essendo fesso, ha capito che bisogna riconoscere i propri limiti. E a questa nazionale ha insegnato quanto provò con l'Inter, seconda esperienza, nell'ultimo scontro con il Napoli di Sarri. Partì da un presupposto: se li lasciamo attaccare, prendiamo gol. Sono più forti dei nostri difensori. Dunque andiamo a difendere nella loro metà campo ed evitiamo che buttino palla verso la nostra area. L'Inter vinse 2-0. Se fate caso, è la stessa filosofia di questa nazionale.

Il calcio è semplice: basta metterci umiltà, intelligenza e un colpo di tacco.

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