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Mancini e i destini arabi. Ma al suo erede lascia un mal di testa

La fuga dell'ex ct da un movimento "povero". Il dribbling sulle super offerte: chiacchiere...

Mancini e i destini arabi. Ma al suo erede lascia un mal di testa

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Che pensare? Chi sta peggio? Roberto Mancini che, ad andar male, potrebbe incassare un lauto assegno dagli arabi (40 milioni annui per tre anni) o Luciano Spalletti che, pur sgravato del peso De Laurentiis, rischia di dirigere una nazionale azzurro tenebra? Da mal di testa. Perché poco altro è questa nazionale: campione d'Europa certo, ma il tempo è passato. Dicono i censori figli del vento che come Mancini non si fa. Ed è vero. Bisognerebbe aver chiaro cosa ha fatto scattare la voglia di lasciare. Nemmeno la mamma ne era informata. Eppure, nella domenica della Pec che non necessariamente significa Pec-cato di ingordigia, Mancini ha ricevuto più chiamate dagli agenti in poche ore che negli ultimi due anni. E l'interessato ne è perfin rimasto sorpreso. Come avrà risposto? Con un sorriso amarognolo. Mentre sulle proposte arabe è stato chiaro: per ora solo chiacchiere, come capita da mesi. E ciascun interpreti come vuole il per ora: un giorno, un'ora, un mese. I giornali arabi hanno interpretato: è fatta, scrivono citando fonti anonime che sono mai smentibili. L'Arab News garantisce che la chiusura della trattativa avrà tempi brevi. Il 17 gennaio scatta la coppa d'Asia e l'Arabia Saudita vuole un ct per vincere. Mancini secondo le speranze arabe sarebbe il 49°ct, 19novesimo europeo.

Dunque l'italico mondo del pallone manda agli archivi il caso Mancio: lo ritroveremo da qualche parte. Magari non così presto. Certamente l'ex ct tiferà sempre per la nazionale, pur avendone visto i limiti: forse il lasciar perdere è figlio di una sorta di depressione disegnata dalla realtà. Il gioco delle parti dietro le quinte, lo disfarsi di un gruppo di amici, per motivi più o meno plausibili, gli hanno dimostrato che il ciclo era finito. Se n'è accorto tardi? Se n'è accorto in tempo. Poi, certo, ognun deve acchiappare il treno quando passa. E in tal senso Spalletti non poteva sperar di meglio. Chissà mai: da un azzurro scudetto ad un azzurro Italia. Sarà un caso ma i due tecnici sono stati vaccinati da faticacce interiste. Magari è l'Inter che porta fortuna.

Certo è che il prodotto nazionale, al netto di qualche oriundo, non promette di esaltare l'orgoglio nazionale. Invano Mancini ha chiesto aiuto ai club, invano ha chiesto che giocatori nostrani venissero impiegati ed anzi li ha spinti ad andare all'estero. E gli emigrati sono tornati con sostanzioso conto in banca, non altrettanto invidiabile miglioramento tecnico. Spalletti potrebbe riprodurre le soluzioni del suo Napoli, ma dove pescare l'Osimhen o il Kvaratskhelia? L'Italia del futuro non ha punte di valore e si aggrappa a Retegui, i centrocampisti crescono ma ci vorrebbe un trequartista dai piedi nobili, i difensori scarseggiano. Eppure l'Italia ha vinto un Europeo e nella storia sarà ricordato quello che Mancini ha vinto piuttosto di quel che è mancato. Se Spalletti sarà, potrà giocarsi due carte (europeo e mondiale). Difficile si ripetano i miracoli, ma pure il suo Napoli è sbocciato come un fiore nel deserto nostrano.

Sperare costa niente: nel calcio dai destini arabi quasi un controsenso.

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