«Dobbiamo finire il lavoro» l'annuncio a fine serata di Stefano Pioli. Manca un punto a tagliare il traguardo: appuntamento a Reggio Emilia col Sassuolo domenica. Volevano solo essere felici. E per due ore sono stati felicissimi quelli del Milan, i 75mila di San Siro e tutti gli altri tifosi sparsi per il Belpaese. Perché il Milan di Elliott, Pioli e Maldini, di Leao e Theo Hernandez, è riuscito a scalare la quinta montagna, la vetta più ardita e complicata, l'Atalanta insomma, e a regalarsi il meritatissimo successo che l'avvicina allo scudetto. Tutti i ritardi, nello sport, sono fatti per essere colmati prima o poi. Così è accaduto al Milan: da 14 anni, nel suo stadio, non riusciva a piegare la resistenza dei bergamaschi. Un tabù, uno degli ultimi a resistere, dopo la fatal Verona, è stato incenerito ieri sera in uno stadio che sprigionava un uragano di entusiasmo e anche di pressioni. Quelli del Milan lo hanno fatto esercitando virtù inedite quali la pazienza prima, poi l'astuzia e infine lo strapotere fisico.
La pazienza è quella mostrata da tutto il Milan, panchina compresa, durante il primo tempo nell'affrontare il più ostico dei rivali: non si è lanciato in avanti, ha provato ad attirare l'Atalanta, ha aspettato che si aprisse un varco utile per poi colpirlo. L'astuzia di Stefano Pioli è riconoscibile nello scegliere il minuto giusto (inizio della ripresa) per effettuare i primi cambi: dentro Messias (con Rebic) e proprio il brasiliano, al primo pallone toccato a metà-campo, ha pennellato un pallonetto sfizioso che Leao, nel frattempo punta centrale, ha trasformato in una cavalcata conclusa da una stilettata passata tra le gambe di Musso, uscitogli incontro.
Lo strapotere fisico è quello messo in vetrina da Theo Hernandez partito palla al piede, come gli è capitato altre cento volte in questo torneo. Ha arato il prato verde per 80 metri, partendo da sinistra e puntando al cuore dell'Atalanta, ha sterzato verso sinistra imboccando l'area di rigore dopo aver seminato uno, due, tre birilli atalantini e ha piantato il suo sinistro rasoterra come una lama nell'angolo lontano della porta. Come è già accaduto con Lazio, Fiorentina e Verona, il Milan ha espresso il meglio del suo gioco e delle sue energie durante la seconda frazione, segno certificato di una strepitosa salute fisica. L'Atalanta è stata all'altezza della sua fama di specialista nelle partite fuori da Bergamo. Gian Piero Gasperini tra un tempo e l'altro ha rivoltato come un calzino il suo attacco ma in tutte e due le frazioni si è imbattuto in una difesa d'acciaio.
Maignan e Tomori hanno deviato un paio di unghiate di Zapata, poi è stato Kalulu il vero pilastro rossonero, capace di vincere qualsiasi duello, da Muriel a Pasalic, da Zapata a Malinovsky costretto addirittura a spendere un giallo per evitare una sua ripartenza. Alla fine i bergamaschi han lamentato un fallo su Pessina nell'azione che ha dato il via al bengala di Leao. Orsato ha classificato questo episodio come in precedenza il fallo reclamato da Giroud.
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