Milan, quel no che sembra tanto un gesto da regime

Giusto il divieto imposto ai teppisti, non a chi contesta il club. Perdipiù esteso ai famigliari

Milan, quel no che sembra tanto un gesto da regime
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Domenica sera, a un certo punto di Milan-Bari, se n'è accorto anche il telecronista: "Si sentono solamente i cori dei tifosi pugliesi". Eppure a giocare in casa era il Milan, eppure in vantaggio di due gol erano gli stessi rossoneri. Un'atmosfera assurda per quelli abituati a frequentare la Scala del calcio, anche a fronte dei 70mila biglietti venduti in una calda domenica di metà agosto. Uno stadio stracolmo ma pressoché ammutolito; in curva invece delle solite maglie rossonere, spuntavano addirittura casacche del Psg, del Real Madrid e del Napoli (!). Una situazione paradossale, che a pochi giorni dall'inizio del campionato, rischia di ripercuotersi in modo negativo soprattutto su staff e giocatori, in qualche modo vittime innocenti del braccio di ferro tra club e curva.

Già perché il modo con cui il Milan ha deciso di troncare ogni rapporto con i tifosi della Sud è - quantomeno - surreale. Un mese fa, con l'apertura della campagna abbonamenti, era arrivato il divieto di cessione del biglietto ai tesserati del secondo anello blu: un modo per tracciare un solco dopo l'inchiesta della procura di Milano. Bene. Negli ultimi giorni però, la linea dura rossonera ha assunto contorni più da regime che da società calcistica. Nelle lettere spedite dal club a moltissimi esponenti della curva Sud - sia di prima che di ultimissima fila, si noti bene - si motiva il diniego di vendita dell'abbonamento con spiegazioni tra il sacrosanto ("per aver partecipato al corteo aperto dallo striscione Ultras liberi"; "per aver manifestato davanti a San Vittore") e il dittatoriale: "Per l'aver contestato la società". Tradotto: mi contesti? Niente abbonamento. Dalla tragedia alla farsa: questo particolare Daspo pare sia stato esteso anche alle famiglie degli stessi ultrà.

Ora, che il club debba mettere dei paletti al rapporto con il tifo organizzato è fuori discussione. Che la strada intrapresa non sia quella corretta, viste modalità e risultati, lo è altrettanto. Il Milan ha bisogno della sua curva e del suo calore.

E sbaglia chi pensa di esportare un modello che funziona negli Stati Uniti anche in Europa: lo stadio non può ridursi a calcio per turisti, San Siro non può diventare uno di quei palazzetti dell'Nba dove si urla "defense, defense" e poi morta lì. A meno che non si voglia assistere a nuove contestazioni. Stavolta in via Rossi, Pyongyang, Corea del Nord.

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