Uno, nessuno e centomila Valentino

Il campione svelato da chi lo ama, lo teme o ci ha lavorato e vissuto assieme

Uno, nessuno e centomila Valentino

C'è un Valentino Rossi e ci sono molti Valentino Rossi. Ci sono libri, la maggior parte, che raccontano Valentino, cioè un solo Vale, il solito, il campione, e c'è finalmente Dottor Rossi di Stefano Saragoni, edizioni Pendragon, Valentino raccontato da chi ha corso e lavorato con lui, duecentoventitré pagine che svelano molti e molti Rossi. L'originale, certo, e gli altri. C'è il Valentino bambino degli inizi raccontato da papà Graziano, «era un rompiscatole, che chiedeva tutto a tutti, che voleva sapere delle moto e delle corse e tutti cercavano di sfuggirgli... quando salì sull'Aprilia feci un passo indietro, decisi di non stare lì a rompere i maroni come fa il 99% dei padri»; e c'è il Valentino di mamma Stefania «pensavo sarebbe andato all'università, memoria di ferro, era bravo...». Frasi diverse ma convergenti quelle di papà e mamma, da cui si evince che il ragazzino non aveva scampo: o avrebbe seguito Graziano come poi è stato o Stefania all'università, come poi non è stato. Ancora altri Rossi. C'è quello ricordato dal primo manager che gli diede una moto seria, la Cagiva, e se lo vide a terra tre volte di fila e c'è il Valentino ragazzino che mise in crisi Pernat in Aprilia.

L'abilità di Saragoni, storico direttore di Motosprint e ora nostra firma, testimone dal vivo di quegli anni meravigliosi e dell'intera carriera del campione, è stata quella di mettere a frutto la sua presenza sulle piste quando Valentino non era ancora Valentino. Per cui non è il ritratto del campione quello che emerge ma molti ritratti che descrivono la costruzione di un campione. Genitori, meccanici, manager, rivali che hanno deciso di condividere il loro Valentino. Come Vittoriano Guareschi, team manager Ducati all'epoca dell'avventura sfortunata di Rossi, quando svela «la paura che avevamo per quella scelta» che in fondo al cuore sapevano sbagliata. O come il mea culpa di Max Biaggi quando ammette «Valentino è stato più furbo di me. C'è poco da dire. Mi ha usato... si è posto come mio rivale quando ancora correvamo in categorie diverse...». E c'è il fastidio e forse anche il timore mai sopiti di Casey Stoner non certo per il sorpasso subito a Laguna Seca nel 2008, al Cavatappi, ma per quell'essere, Valentino, un «win at all cost guy», un pilota pronto a tutto per vincere, perché nei duelli «non ho mai sentito che Rossi fosse molto preoccupato per la sicurezza degli altri».

E c'è, e non poteva essere altrimenti, anche il secco ricordo di Marc Marquez, lapidario, forse anche nostalgico in memoria di una simpatia svanita e diventata odio agonistico: io e lui? «Era come se ballassimo assieme ma ci siamo calpestati i piedi...».

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