Dici giovane, come bastasse la parola. Dici giovane per nascondere la povertà. Dici giovane per sentirti nel blu dipinto di blu. E dimenticare il rosso, non solo di bilancio. La spending review del calcio italiano sta abolendo i campioni e ci rifila giovani, giovanetti e mezze calzette. E chi s'accontenta gode.
La sponda giovane è l'ultima risorsa del Milan faccia lunga. Lunedì è andato a prendersi Niang, il bambinone francese che dovrebbe essere il nuovo Henry: peccato abbia segnato solo 5 reti (due l'anno scorso) in 30 partite. D'accordo per i 17 anni, ma il fiuto del cannoniere fa parte del Dna. Ieri è stata la volta di Bojan che il Barcellona ha mollato e la Roma pure. Occhio! Siamo partiti con una imbarcata di gol under, e sono state sviolinate: mai così negli ultimi dieci anni, finalmente lanciamo i giovani. Ma tutti sappiamo che con i babies non si vincono campionati, al massimo quelli Primavera. Il Barcellona, che tanti prendono ad esempio, imbarca giovani ma soprattutto campioni e con quelli vince. Con i ragazzi-prodigio al massimo fa cassa e fumo. All'arrosto pensano altri e Messi è unico.
Ma poi è vero che il nostro calcio si è aperto ai giovani? Ciro Ferrara ha raccontato di aver gran parte della squadra che galleggia tra i 23 e i 24 anni. Ma ha pure ammesso che la Sampdoria potrà pensare solo alla salvezza. Damiano Tommasi, presidente dell'associazione calciatori, ci va piano. «Le ultime convocazioni in Nazionale sono state un bel segnale, ma sappiamo che gli allenatori in Italia hanno panchine precarie e difficilmente rischiano con i giovani». Dando un'occhiata alle rose (quelle consegnate alla Lega, quindi con qualche ragazzo Primavera che non giocherà mai) si pesano percentuali intorno al 50 per cento dei giocatori complessivi (Palermo e Pescara per esempio) fino a quelle più classiche intorno al 30 per cento. L'Udinese mantiene la leadership della squadra a caccia di talenti, il Pescara segue nella tradizione di Zeman, che l'anno scorso l'ha guidato. Napoli, Lazio e, stranamente, Atalanta che è sempre stata una fabbrica di calcio giovanile, stanno in coda.
Val la pena pensare che non conta il numero, piuttosto la qualità. C'è chi bada al soldo da far fruttare e chi al giocatore da crescere. Per esempio, il Pescara ha scoperto in Carlos Darwin (nome impegnativo) Quintero, 19enne colombiano, il sostituto di Verratti, il gioiello che il calcio italiano ha fatto nulla per non perdere. È costato appena 2 milioni e mezzo, magari diventerà un nuovo affare. Invece Zeman ha scoperto in Nico Lopez un goleador salvezza, il Milan potrebbe già cominciare a rimpiangere Alexander Merkel, tedeschino un po' snobbato che, a Milano, piaceva a tanti ed è andato in gol col Genoa. Il Cagliari ha in Nainggolan e Ibarbo due ragazzi- mercato. Genoa e Napoli cullano due attaccanti sui quali punta tutto il calcio italiano: Ciro Immobile e Lorenzo Insigne che, come fanno intendere i cognomi, arrivano entrambi da Napoli e dintorni. I ragazzi del Sud sono stati una risorsa eterna del nostro pallone. Oggi dovrebbero tornare di moda più che mai.
Sul piano della qualità vanno tenute d'occhio Roma, Juve e Fiorentina. Ci sono giocatori da posto fisso: Jovetic è il numero uno della specie. Ma andiamo pure per citazioni: Ljajic e Nastasic (in partenza), Cuadrado e Isla, Marrone e Pogba, Destro e Lamela, Lopez e Pjanic. Niente male, tutto verde speranza. Se il calcio italiano lavora in questa ottica, calcio giovane ma di qualità, tanto di cappello. Per ora sembra un'idea più che una rivoluzione. Di solito sono le grandi squadre ad aprire la strada: il Milan di Berlusconi lanciò con lo sconosciuto Sacchi un'idea per la panchina, copiata da tanti. Il Milan del Berlusconi di oggi prova a lanciare l'idea giovani. Visti i nomi passati a Milanello, di recente, forse servirebbe occhio migliore. C'è tempo per rimediare e non finire come l'Inter che ha lavorato tanto sui giovani, spesso cavandone buone promesse, ma li ha sempre bruciati, scartati o venduti. Se poi sono italiani... Clamorosi gli ultimi tre casi: Balotelli, Destro ed ora Longo.
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