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Pecco, un lord in pista. Ha trasformato la moto da videogioco a lavoro

Per anni Rossi ha fatto sembrare tutto facile. Bagnaia "mondiale" tra preparazione e dettagli

Pecco, un lord in pista. Ha trasformato la moto da videogioco a lavoro

E alla fine, l'allievo ha superato il maestro. «Pecco» Bagnaia ha vinto il titolo della MotoGP con la Ducati che invece per «Vale» Rossi significò due lunghe stagioni di frustrazione. Andrebbe sottolineato come quella di oggi e di ieri sono due Ducati molto diverse, ma la tecnica è passione di pochi, così evitiamo di entrare nei dettagli concentrandoci sul pilota che 50 anni dopo Agostini e MV Agusta ha riportato una moto italiana sul tetto del mondo motociclistico e in Italia il Mondiale della classe regina tredici anni dopo l'ultimo successo di Valentino, di cui confessò alla maestra delle elementari di voler ripetere le imprese.

Chiedere a Bagnaia o a chiunque altro di avere la personalità e il carisma di Rossi sarebbe follia, anche perché i piloti e i campioni di oggi sono in buona parte il risultato del percorso che fanno, dove il «lavoro» è la componente chiave e c'è sempre meno spazio per l'improvvisazione. Per carità, si parte sempre dalla motina avuta in dono da bambini; quella di «Pecco» arrivò in occasione del sesto compleanno ed era da cross. Gioia immensa, intere giornate in sella e la richiesta di passare alle gomme stick della minimoto, una sorta di MotoGP in scala da usare in circuito. Visto che ci sapeva fare, sono arrivati i primi successi e a seguire tutti i passaggi di categoria del caso: Mini GP, Pre GP, dove quel «GP» dice chiaro qual è l'obiettivo. La pratica era avviata: a 14 anni Bagnaia era già in Spagna alla corte di Emilio Alzamora, manager di Marc Marquez. Da una Academy all'altra, eccolo tra i primi ad abbracciare quella di Valentino Rossi, che in lui ha visto un talento naturale, apprezzandone poi l'impegno e la propensione al lavoro di gruppo.

Le difficoltà non sono mancate, perché il passaggio al professionismo non fa sconti. L'importante è superarle.

«Quando ho debuttato nel Mondiale ero immaturo - ha ammesso a suo tempo - ero molto più bambino. La vedevo un po' come una favola e non capivo concetti importantissimi: non puoi giocare ore ai videogiochi, perché dopo le prove devi dedicarti al lavoro nel box, devi curare la preparazione. Correre è come un lavoro, quindi serve concentrazione». Capito come funziona? Con Rossi sembrava tutto un gioco...

Queste valutazioni a 17 anni lo hanno portato a lasciare Chivasso, paesone alle porte di Torino, per vivere a Pesaro e allenarsi a contatto con altri piloti, avendo Rossi come tutor prezioso. Nel 2018 la svolta, con la firma del contratto biennale con Pramac, la squadra satellite Ducati, per passare in MotoGP l'anno successivo, cosa fatta con in tasca il titolo della Moto2. Della sua nuova moto disse: «È sempre stata un mio pallino». Su quel suo «pallino» ha lavorato sodo, senza lasciarsi abbattere dalle difficoltà, arrivando a meritare la squadra e la moto ufficiale e infine ad assaporare la gioia di Valencia. Festeggiandola a modo suo, senza esagerare.

Non è nel suo Dna.

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