di Tony Damascelli
Luca e Mario sono la storia del pallone dell'Italia di ieri, di oggi e di domani. Luca e Mario hanno fama e conti correnti diversi, sempre sostanziosi. Luca e Mario hanno giocato all'estero, uno in Baviera, l'altro sull'isola della regina. Luca Toni è un modenese nato a Pavullo nel Frignano che è lo stesso paese di Giorgio Pinchiorri la cui cantina è una miniera di pepite sotto forma dei più grandi vini del mondo. Luca Toni è un grande rosso d'Italia, ha vinto un titolo mondiale sette anni fa a Berlino e i tedeschi di lui si esaltarono al punto da portarselo a Monaco, al Bayern. Quel simpaticone di Van Gaal, qualche bundesliga dopo, lo ritenne finito e sfinito. Come si usa dalle nostre parti, l'opinione dell'olandese venne immediatamente mutuata: Toni era un binario morto, un vuoto a perdere, un sacco di patate, alla ricerca di un salario dovunque e comunque. Ha fatto il giro delle sette chiese, dalla Roma al Genoa, alla Juventus, addirittura negli Emirati Arabi con l'Al Nasr, quindi alla Fiorentina e poi, ad anni trentasei, quasi dato per disperso, ha deciso di dimezzarsi lo stipendio e di concedersi il luna park veronese tornato ad accendere le luci in serie A. È passato davanti allo stand del Milan e ha lanciato due torte in faccia al diavolo, la vittoria è sua, basta, il calcio è questo, senza mostrare muscoli, tatuaggi e limousine. Mario Balotelli è per molti il meglio fico del bigoncio, ha talento, è furbo, ha tredici anni meno di Toni e può già esibire le magliette dell'Inter, del Manchester City, della nazionale italiana e del Milan ma non ha ancora capito che il gioco del football non è una esibizione in discoteca, non è un lamento continuo, un frignare contro tutto e contro tutti, nel calcio nessuno può vivere di rendita, nemmeno Messi o Neymar, figuratevi questo ragazzo che crede di essere più bravo e più furbo di tutti. Ieri pomeriggio a Verona deve aver visto il trentaseienne Luca Toni, campione del mondo, binario morto, vuoto a perdere, sacco di patate, sbattersi come uno sbarbato, senza orecchini e femmine in tribuna, correre, sudare e segnare uno, due gol. Sono cose che accadono nel calcio, basta riflettere, verbo difficile da frequentare per chi appartiene a una generazione che conosce soltanto il caviale e lo champagne.
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