Qualità no, quantità sì. Ecco perché la Signora rinuncia al bel calcio

Gioca male rispetto a Conte e al primo Allegri per il bradicalcio di Hernanes-Khedira-Pjanic

Qualità no, quantità sì. Ecco perché la Signora rinuncia al bel calcio

O la qualità. O la quantità. Allegri ha scelto la seconda soluzione. E la Juventus è prima in classifica, scrollandosi di dosso Roma e Napoli in una volta sola. I numeri sono tutti a favore della scelta dell'allenatore livornese: la Juventus ha 12 punti in più rispetto allo scorso anno; ha realizzato 23 gol contro i 13 dell'autunno passato, subendo 8 gol, 2 in meno dell'avvio orribile del 2015. È tornata ai livelli di cifre del primo anno di Allegri e delle tre stagioni di Antonio Conte, dunque ci sono le premesse per entrare, come sogna Andrea Agnelli, nella leggenda, con il sesto titolo consecutivo. Si può discutere la Juventus, allora?

Come nelle ultime stagioni, la squadra dimostra solidità e perfidia e sta approfittando delle distrazioni altrui, fa parte della sua storia e della storia del calcio. La stessa distratta Juventus ha perduto due partite a San Siro, non certo contro avversari irresistibili. Questa è la quantità, questo dice la carta, indiscutibile, incontestabile. Il resto non conta, non dovrebbe contare. Ma.

Un altro discorso riguarda la qualità. Come sta giocando la Juventus? Male. Involuta rispetto a se stessa, alle prestazioni rabbiose, alla velocità, alla variazione di tema che avevano formato la sua carta di identità dell'era Conte e, poi, del primo Allegri. Ha venduto uomini importanti, per fortuna conservando gli attori della difesa, tutti, da Buffon a Barzagli, da Bonucci a Chiellini. Il logorio fisico incomincia a farsi sentire, insieme con i dati anagrafici: i quattro di cui sopra sommano 134 anni, basterebbe il paragone con il pacchetto milanista, Donnarumma-De Sciglio-Romagnoli-Paletta (totale 92 anni) per predire il futuro, a meno di colpi di scena cinesi. Ma il problema vero riguarda il centrocampo, là dove le partenze di Vidal, Pirlo, Pogba e l'assenza, in questa prima fase, di Marchisio, hanno messo in evidenza il bradicalcio del trio Hernanes-Khedira-Pjanic. Del brasiliano si sapeva, si sa e si saprà, il popolo bianconero lo insulta con una ignoranza tipica di chi è abituato alle brioche e non vuole accettare il sapore del pane comune. Il tedesco è un diesel che mai in passato aveva sommato tanti minuti di gioco come quest'anno, resta, comunque, un diesel. Infine Pjanic, introverso, indisponente, abituato a ritmi diversi e inadatto alla sofferenza tattica e fisica; ha chiesto il numero 5 di maglia, come Zidane nel Real Madrid, preferirei fermarmi qui per evitare la blasfemia ma l'investimento è stato importante (32 milioni di euro) finora dimostratosi negativo. Il rientro di Marchisio (che era il quarto di quel centrocampo delle meraviglie) è una garanzia per Allegri e per il reparto difensivo che trova uno schermo migliore, con la personalità indispensabile in una zona dove l'apporto di Cuadrado, con i suoi strappi, fornisce alla squadra l'energia perduta, la rabbia e la fame che sembrano davvero smarrite. Nulla si può dire su Gonzalo Higuain, Mandzukic e Dybala, lo confermano i numeri, lo ribadiscono le loro prestazioni, diverse ma con analoghi risultati. Juventus con due forni: da una parte sostanza, polpa, punti, primato in campionato con la prospettiva di consolidarlo in Champions nel prossimo impegno con il Lione. Dall'altra, la grande bellezza del gioco, ormai dimenticata, nemmeno cercata, intossicata dall'esigenza di fare il risultato comunque, che è poi l'essenza del calcio professionistico.

La colpa non è di Allegri ma della stessa nuova Juventus che aveva abituato anche gli avversari a considerarla più forte non soltanto per gli aiutini arbitrali ma per la spettacolarità del suo gioco, per la grinta, l'intesa. «Presidente, alla squadra manca l'amalgama» disse un direttore sportivo al presidente di un club siciliano che, immediatamente, replicò: «L'amalgama? Accattàmolo». Andrea Agnelli non è siciliano.

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