Quando la Champions non era League ma era già del Milan

Quando la Champions non era League ma era già del Milan

Gianni Rivera indossa un impermeabile terital di tre taglie superiori al suo fisico da diciannovenne. Il Milan è campione d'Europa e quel "bambìn" (così lo chiamava Rocco) con i capelli a spazzola seguiva il proprio capitano Cesare Maldini a ritirare coppa e medaglie dalle mani di Gustav Max Viederkehr, svizzero e presidente dell'Uefa. Anche Dino Sani vestiva lo stesso indumento, avendo, come il compagno di squadra, consegnato maglietta e pantaloncini ai tifosi nostrani, le fotografie mostrano la buffa immagine, il brasiliano con rari capelli, sembra un pensionato infilatosi per la foto ricordo, mentre nelle file più alte della tribuna si intravvedono Liedholm e Artemio Franchi. Attorno c'era lo stadio imperiale di Wembley con le due torri. I tifosi in Italia dovettero attendere la sera per vedere in registrazione ampex la partita giocata alle tre del pomeriggio, ora di Londra. Per la cronaca i biglietti d'ingresso costavano da una sterlina fino a 2 e la coppa aveva orecchie meno larghe e più fragili.
Fu festa improvvisa, il Benfica era il campione in carica, passò di diritto agli ottavi, aveva uomini illustri dietro il suo fenomeno Eusebio, in verità lo stratega di quella squadra allenata da Rieira venne fatto fuori da un'entrata di Pivatelli e così Coluna se ne andò sull'out come si usava al tempo, perché in undici si cominciava e in undici si doveva terminare, senza sostituzioni, panchine, turn over, orecchini, tatuaggi, scarpe multicolori. Ma al di là del romanticismo, dell'album di fotografie con l'albergo del ritiro milanista, il Richmond Hill di Richmond Upon Thames, giravano già bei denari nel mondo del football professionistico: il premio per il successo di Wembley fu di un milione di lire, roba grossa per gli anni del dopo boom e dell'inizio della crisi; segnalo che la paga di un impiegato ammontava a sessantamila lire al mese, la benzina era ferma a 120 lire al litro, una tazzina di caffè cinquanta lire e una Ferrari 250 GT cinque milioni e ottocentomila lire, dunque quasi sei volte il premio deciso da Rizzoli, presidente del Milan di Rocco e Viani.
Erano altri tempi anche rileggendo la cronaca scritta da Vittorio Pozzo, inviato della Stampa all'Imperial Wembley. Per descrivere Eusebio, il giornalista ex cittì della nazionale campione del mondo, scrisse: «il negretto lusitano» e posso prevedere quale sarebbe la reazione oggi dei benpensanti e bendicenti. Erano tempi nei quali il gol partita di Josè Joao Altafini (così all'anagrafe Uefa e nel referto dell'arbitro inglese Holland) venne festeggiato non soltanto dai suoi compagni di squadra ma anche da un signore che sostava alle spalle della porta di Costa Pereira e che entrò, vestito distintamente, sul terreno di gioco, abbracciò il brasiliano che, bloccato dai crampi, giaceva sul verde prato londinese e poi recuperò la posizione, senza che nessun poliziotto o badante intervenisse.
Fu il primo successo italiano nella coppa più importante.

Wembley non è più Imperiale, è rimasto il nome, è rimasto il fascino, la coppa dei campioni è diventata la lega dei club campioni, sabato sarà Michel Platini a consegnare il trofeo a un tedesco. All'epoca Michel stava per compiere otto anni. Dodici in meno di Gianni Rivera.

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