Roma - Settantasette giorni senza una vittoria all'Olimpico, che resta un incubo per i giallorossi (quinto pari consecutivo). La dolce illusione di Cagliari è rimasta un caso isolato: la Roma si è persa quasi definitivamente e anche contro il Parma ultimo della classe conferma tutte le sue difficoltà: la squadra non gioca più al calcio, non corre e dimostra gambe molli, è perennemente sotto ritmo e non va oltre un palo colpito nel finale da Cole. In più le scelte di Garcia, che appare in confusione e senza idee, sembrano tutte errate, dall'undici titolare nel quale propone un impresentabile Doumbia («puntavo sull'entusiasmo suo e di Gervinho per la vittoria in Coppa d'Africa...», la giustificazione) ai cambi in corsa, quando sostituisce Ljajic fino a quel punto fra i migliori in campo.
Rudi Garcia continua furbescamente a vedere solo due difetti nella prestazione dei suoi: il solito primo tempo «dal ritmo troppo lento» e l'imprecisione al tiro. Ma i sonori fischi e il coro finale di disapprovazione della curva Sud sono stati più che eloquenti. Come eloquente è la frase del tecnico nella pancia dell'Olimpico dopo l'ennesima delusione: «Ora non bisogna più guardare la classifica, ma parlare della ricerca del gioco con continuità. Non abbiamo alibi e non dobbiamo cercare scuse, contro l'ultima in classifica bisognava vincere». Il vaticinio di ottobre, quando l'allenatore di Nemours si sbilanciò dicendo che la Roma avrebbe vinto lo scudetto - dopo la polemiche dello Stadium di Torino - si sta pian piano sbriciolando. E l'appuntamento di ritorno contro la Juve del 2 marzo rischia di essere ridimensionato. «Se non segni, non puoi vincere...», l'amara considerazione di Nainggolan, che resta uno dei pochi salvabili della truppa.
La cartina tornasole di una Roma assolutamente irriconoscibile rispetto alla passata stagione e ai primi mesi di questa è, tra le altre cose, anche l'utilizzo del jolly Florenzi. Inventato ala da Garcia nel tridente d'attacco e ora costretto al ruolo di terzino stile Maicon. «Sinceramente sono un po' confuso, non so bene qual è il mio ruolo attuale - dice tra il serio e il faceto il calciatore giallorosso e della Nazionale -. Essere il primo «tappabuchi» ha i suoi pro e i suoi contro e io mi prendo sia gli uni che gli altri. I fischi dei tifosi? Sono stati un po' più meritati, la verità è che non incutiamo più il timore dell'anno scorso quando le squadre venivano all'Olimpico e avevano paura della Roma. Quest'anno noi non abbiamo più quella convinzione che ci permetteva di fare gol e vincere le partite».
Onore al Parma, che oggi vivrà la giornata chiave (pagamenti degli stipendi da parte della nuova proprietà o messa in mora del club da parte dei giocatori): la squadra di Donadoni è da applausi per dedizione, sacrificio e voglia.
Il pari all'Olimpico è una flebile luce nel buio tunnel, ma il tecnico dà atto ai suoi di «fare sempre il loro dovere», nonostante tutto. «Sembra quasi che nelle altre partite non abbiamo fatto come a Roma - così in risposta agli elogi -. Chi falsa il campionato non è chi sta in campo, ma chi sta fuori a parlare. È mortificante sentirsi dire certe cose».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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