"Quell'Olimpiade di 30 anni fa e i miei figli che tifano Shiffrin"

Intervista a Deborah Compagoni. Stregò gli italiani con le sue vittorie come Tomba all'epoca e Sinner oggi. "E a Jannik auguro di restare se stesso"

"Quell'Olimpiade di 30 anni fa e i miei figli che tifano Shiffrin"
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I 50 anni della valanga azzurra; i 40 anni di Paola Magoni a Sarajevo. Nella più nevosa delle operazioni nostalgia, arrivano anche i giorni di Lillehammer. Febbraio 1994: il doppio bronzo di Isolde Kostner in superG e discesa, l'argento di Tomba in slalom, la valanga di medaglie nel fondo da Manuela Di Centa a Marco Albarello, alle staffette. Un'Italia, tuttora da record, chiuse quarta nel medagliere, con 20 sigilli. E una fanciulla di 24 anni, di nome Deborah Compagnoni che allora si metteva al collo il secondo di tre ori consecutivi con cui entrare nella storia.

Deborah, 30 anni domani: lei fu anche portabandiera di quei Giochi.

«Quando me lo dissero, pensai Non sono così brava, cambieranno idea!. Fu, invece, l'unica cerimonia olimpica a cui partecipai: folletti, luci, le saghe del Nord. Indimenticabile».

Ricorderà tutto, pettorale, distacco monstre fin dalla prima manche?

«Ricordo solo il freddo. Dei distacchi importa sempre più a voi! Non ho mai pensato, Ehi che impresa!».

Mai tornata a sciare là?

«Ho gareggiato tanto in Norvegia e una volta, a proposito di distacchi, guidavo la prima manche e poi sono uscita disonorevolmente! Meno male che non accadde nel 1994».

Almeno un w-up di complimento dai suoi figli: ora sono grandi, hanno capito chi è mamma?

«Appunto, una mamma. Vivono in America, li vedo meno e, secondo me, sanno più della Shiffrin che di me ed è giusto così!».

Era un'Italia da record e innamorata degli sport: un po' come oggi con Jannik Sinner. Si rivede in lui?

«Sinner mi piace: è un talento e ha tutte le carte per diventare un fuoriclasse. Gli auguro di restare se stesso».

Lei fece innamorare dello sci ben più di quanto fecero Novella Calligaris o Sara Simeoni nei loro sport. Eppure ai riflettori non si è mai abituata.

«Sono fatta così. E ora non ho i social e non mi sono mai ritrovata in queste definizioni, mi imbarazzano ancora».

Lei è stata anche medaglia di infortuni. Quest'anno in Coppa se ne sono visti tantissimi

«Fin dai miei tempi, con l'inversione dei 30 e poi con il sorteggio dei pettorali, si cerca di dare più suspence. Oggi sulle piste di gara anche chi scia bene a volte ha paura. Gli sci moderni esaltano il gesto, ma non l'errore e richiedono molto più allenamento di un tempo. Condisci con la velocità e calendari fitti: la Fis deve riflettere. Questo è un anno particolare non per numero di incidenti, ma perché ko sono finiti molti big, ma questo è il trend da qualche anno. Goggia ha dimostrato che anche in gigante ci si può fare molto male».

La sua valanga rosa o questa: chi è più forte?

«Questa squadra è più forte tranne in slalom. Brignone è rinata: se le avessero detto dove sarebbe arrivata, non ci avrebbe creduto. Io mi sono ritirata a 29 anni, lei a 33 vince con l'esperienza. Lo vedi da come affronta la pista. Sa che cosa vuole. Poi ci sono Bassino, Curtoni, Pirovano e le Delago. La rivalità fra ragazze è buona perché anche quando vince l'altra, il morale della squadra sale e ne beneficiano tutti».

La montagna le ha dato e le ha tolto tanto e lei si impegna in tanti progetti come Sciare per la Vita

«È il mio mondo, ci sono cresciuta anche se si è presa mio fratello che, come guida alpina, la viveva anche più intensamente di me. Con Sciare per la vita e il comitato Maria Letizia Verga di Monza, ora ci occupiamo di restaurare una residenza per le famiglie dei bimbi in cura per patologie ematiche ed oncologiche».

Quale è il suo impegno per le Olimpiadi 2026?

«Vorrei unire la Valtellina dove sono cresciuta e Cortina dove ho gareggiato e ho 20 anni di ricordi con la famiglia: però i ruoli politici non fanno per me. Voglio trasmettere emozioni e aneddoti della fiaba olimpica».

Non vuole essere di moda ma si occupa di moda.

«Con quello che costa sciare! Con la linea Alta Via abbiamo pensato ad una collezione colorata, comoda e di qualità, insieme a Stefano Beraldo di Ovs e alla mia manager Giulia Mancini, e proseguiremo. In passato avevo studiato un pantaloncino corto da allenamento che poi ha fatto storia».

Guardando le divise di Lillehammer, in effetti un po' di tempo sembra passato.

«Con quel cappellino e tutti blu come puffi: ma la moda è bella perché imprevedibile».

E allora che cosa resta della Deborah del 1994?

«Una ragazza con qualche manche di

esperienza in più. La vita, anche nei dolori, ti insegna sempre. Io come allora ho la stessa passione e cerco di impegnarmi, restando in pista e nel mio mondo, in progetti dove so che posso riuscire bene». Semplicemente Deborah.

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