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Re Carlo è tornato dalla guerra: da bollito ad asso, la Champions è casa sua

Dopo le delusioni con Napoli e Everton il tecnico di Reggiolo si sta riprendendo tutto: tra lui e la coppa c'è ancora il Liverpool

Carlo Ancelotti pregusta un'altra finale di Champions
Carlo Ancelotti pregusta un'altra finale di Champions

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Re Carlo è tornato dalla guerra: da bollito ad asso, la Champions è casa sua

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Undici giorni. Quante cose possono accadere in undici giorni? Il 10 dicembre 2019 il sopracciglio si inarca allo spasmo. Carlo Ancelotti ha appena ricevuto una telefonata funesta: anche se ha travolto il Genk ed è volato agli ottavi di finale di Champions, Aurelio De Laurentiis gli spiega che l’idillio è già finito. I tempi delle pose spalla contro spalla alla 007, pur riluttanti, già sfumati. Il Napoli propone un gioco eccessivamente ampolloso e compito, che lo ha relegato alla settima posizione in classifica. Lui fa sapere che mai si è dimesso e mai si dimetterà. Allora si consuma il delitto: Re Carlo, l’asso che appariva quasi un lusso da queste parti, viene detronizzato.

Il 21 dicembre 2019 lungo il fiume Mersey il freddo lavora le ossa e il vento spettina i pensieri. Carlo è avvolto in un lungo cappotto di lana, la sciarpa avvitata attorno al collo. Ha appena firmato un contratto di quattro anni e mezzo con l’Everton, per 11 milioni e mezzo di sterline a stagione. Debutta il giorno di Santo Stefano, contro il Burnley. Probabilmente l’intermezzo più breve di sempre tra un licenziamento e un nuovo contratto, ma l’uomo di Reggiolo - si sa - ama flirtare con i record. Undici giorni per ribaltare tutto. Solo che se hai quel curriculum lì e decidi di appollaiarti sul lato blu di Liverpool, l’epiteto insolente è dietro l’angolo.

“Bollito”. “Ormai è in pensione”. “Lo fa solo per il figlio”. Questi sono alcuni dei più simpatici. Carletto prende e mette via. Il primo anno arriva dodicesimo. Il secondo decimo. Come andare sportivamente in guerra uscendone con le ossa fracassate. Abbastanza deprimente, per uno come lui. C’è voglia di tornare a casa e pazienza se non è andata come a quell’altro omonimo a Poitiers.

La storia recente assomiglia tremendamente a quella della sua ultima squadra. Quando ti dicono che sei spacciato tu li contempli con aria serafica, ghignando in controluce. Quando ciarlano a sproposito, alludendo al fatto che la voglia si è affievolita, il contropiede è servito. Chiama il Real. Dopo il prodigioso interregno di Zizou è tempo di tornare a casa. Nulla si è intiepidito. La calma è ancora un mantra che suggerisce fiducia al gruppo. Prima tocca al Bilbao: Supercoppa di Spagna premuta in bacheca. Poi, distillato nel tempo, arriva il campionato. Carlo vendica l’onta di averlo lasciato ai cugini dell’Atlético un anno prima. Vince con quattro giornate d’anticipo e diventa il primo allenatore ad aver trionfato nei cinque principali campionati europei. Mica male per uno che si presumeva avesse deposto le armi.

Carlo Ancelotti

Lui però preferisce la coppa, da sempre. In Champions le merengues sembrano costantemente sul punto di collassare. Contro PSG, Chelsea e City arrancano penosamente per un pezzo. Assomigliano a uno di quei pugili suonati che oscillano rifiutandosi di andare al tappeto. Quindi sferrano il gancio decisivo. Ancelotti infonde la calma dei forti. Al resto ci pensa Benzema. Quinta finale nella coppa dalle grandi orecchie: altra impresa, nessuno come lui.

Davanti c’è di nuovo Liverpool: stavolta il lato è quello rosso. Come nell’ indicibile beffa di Istanbul. Come per la vendetta di Atene. La “bella” - si sa - è decisiva. Pressione esterna molta. Imperturbabilità di più.

Re Carlo è tornato dalla guerra: il sopracciglio è pronto ad inarcarsi ancora.

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