Sergio Nieto se la sentiva: non poteva salutare il mondo senza vedere un'altra coppa del Real Madrid. Sergio Nieto è un signore di 92 anni, socio numero uno del Real, e, prima della partita, ha tranquillizzato un suo amico giornalista: «Non me ne vado da questa terra senza vedere la Copa de Europa numero 12». Accontentato: i suoi antichi occhi hanno avuto un'altra gioia. Josè Mourinho aveva le stesse preveggenze: «Ci vediamo l'8 agosto» ha detto agli amici che gli sono rimasti a Madrid. L'8 agosto si giocherà la Supercoppa fra campioni d'Europa e Manchester United.
Il Real nutre di certezze se stesso e i suoi tifosi: è la sua anima, il collante, la sua forza. In questa stagione, per esempio, ha garantito al mondo merengue almeno una segnatura a partita, non c'è stato match senza vedere un pallone in gol: in totale 173 reti in 64 sfide ufficiali (comprese 4 amichevoli). Che segnassero Ronaldo o Casemiro, Sergio Ramos e Benzema o, anche, l'ultimo arrivato, Marco Asensio, che nel giro di due mesi si è preso il lusso di bucare prima Neuer poi Buffon: il segno di un predestinato. Non c'è solo Cristiano Ronaldo: ci sono passato, presente e altrettanto futuro.
Non importa il cromatismo della storia: color seppia oppure viola accecante come le maglie della partita contro la Juve. Trionfi «galattici» in 60 anni di storia: c'era la Saeta rubia, al secolo Alfredo Di Stefano, ed ora c'è il cannibale Ronaldo. C'era il Real delle 5 coppe consecutive alla fine degli anni '50, ed ora ci sono i Blancos della doppietta mai riuscita a nessuno in Champions league. Il Milan di Sacchi vinse due anni di fila, ma si trattava ancora di coppa dei Campioni. In Champions sembra molto più difficile: non ce l'ha fatta il Barcellona, non il Manchester o il Bayern. Il Real è arrivato all'obbiettivo con un esordiente in panchina e un Fenomeno razziatore in campo. Non è solo questione di fortuna o di qualche spintarella arbitrale (indecente il favoritismo nel ritorno con il Bayern), c'è qualcosa di più universale che comprende dimensione del fatturato (620 milioni), dei premi incassati (quest'anno 74,7) e la capacità di reclutare giocatori che segnano le epoche: da Di Stefano e Gento a CR7 e Modric.
Da Madrid è passato anche il Ronaldo brasiliano che fu Fenomeno, ma CR7 lo è stato nei fatti. Nell'ultima stagione ha trascinato dapprima il Portogallo all'Europeo, poi si è dedicato a vincere e conquistare di tutto con il Real. Oggi è molto più difficile raddoppiare una Champions. Gli avversari si sono moltiplicati (in coppa Campioni c'erano solo le vincenti dei campionati) e il numero di partite è aumentato: nel 1956 il Real giocò 7 incontri, stavolta è arrivato a 17.
Eppure dici Real e basta la parola: ha vinto le ultime 3 edizioni su 4, sofferto digiuni a lungo raggio, atteso dieci anni per arrivare alla Decima, come in un improbabile gioco di numeri, ma negli ultimi 20 anni ha messo in bacheca 6 coppe. Quando Zidane lasciò la Juve, l'Avvocato lo salutò con un graffio: «Ci ha fatto divertire più che vincere». A Madrid, Zizou ha cominciato a far vincere più che divertire.
Non a caso la sua squadra sembra talvolta sparagnina, concepita all'italiana nella gestione della partita ma ha mantenuto l'anima vincente e dominante. Simbiosi perfetta per una squadra che conosce il segreto dell'immortalità.
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