«Pazienza, è una delle parole chiave che ho scelto con il mio mental coach prima del match». Ci vuole pazienza per arrivare lontano, e sai quanta ne abbiamo avuta noi amanti del tennis per risvegliarci poi in questa epoca meravigliosa in cui tutto sembra incredibilmente possibile. Matteo Berrettini è il primo italiano ad aver raggiunto i quarti di finale in tutti e quattro i tornei dello Slam il decimo giocatore tra quelli in attività -, dopo aver demolito Carreño Busta in tre set e dato seguito ai pronostici di chi lo vede vincitore almeno una volta di uno dei quattro grandi tornei. Non sarà facile, anche senza Djokovic ma con un Nadal fin qui dei giorni migliori. Però visto come ha gestito la sfida con lo spagnolo, i 28 ace con cui lo ha demoralizzato, non c'è nulla di incredibile ormai. Ed è tutto merito di un ciondolo, quella rosa dei venti che si porta sempre al collo: «È un oggetto molto importante per me, che mi accompagna sempre. La metto sulla panchina durante i match da quando giocavo gli Itf fino a oggi che mi gioco gli Slam. Mi fa pensare alla famiglia, che è sempre il mio punto di riferimento, nei momenti belli e anche quando le cose non vanno bene. E poi me la sono tatuata per ricordarmi ogni momento che se la vita ti fa sbandare puoi sempre tornare sulla rotta giusta».
È questa la sintesi della pazienza, che è stata anche il filo logico di una match giocato sempre sull'equilibrio, nel quale l'avversario di Matteo ha dato segni di cedimento solo quando ha capito che non avrebbe potuto incrinare le sue armi migliori. È stato un mind game, appunto, di quelli che solo i grandi giocatori sanno vincere. Ed il punteggio 7-5, 7-6, 6-4 è di quelli che ti fanno entrare nel club dei migliori, certificato da un sesto posto acquisito nella classifica mondiale che può solo migliorare. «Avevo la sensazione che Carreño non leggesse la direzione del mio servizio. Sapevo di dover tenere una percentuale alta. Una volta che entri in ritmo, è più facile». Già, facile no?
E allora: adesso che Matteo troverà il francese Monfils, si comincia a sfogliare il libro dei sogni. Per dire: Sinner (e a proposito Berrettini ha detto: «La nostra competizione aiuta entrambi. Io un supercoach? Mai dire mai») nella notte si è giocato il suo contro De Minaur. E se fosse stato un altro successo, dovremmo continuare a dare i numeri. Erano 31 anni che un italiano non arrivava nei quarti in Australia (l'ultimo fu Caratti), 49 che non se ne vedono due giocarli contemporaneamente in uno Slam (Panatta e Barazzutti a Parigi 1973), 62 era il Roland Garros 1960 - da quando Pietrangeli e Sirola arrivarono le semifinali di un Major. E se poi aggiungiamo che la rinata coppia Fognini-Bolelli, che a Melbourne ha vinto nel 2015, è approdata nei quarti del torneo di doppio, si capisce che la Storia è oggi: «Ho sempre guardato con grande rispetto ai giocatori del passato spiega Matteo -. Ed è una sensazione difficile da descrivere.
Sono orgoglioso io, come il mio team. Dobbiamo ricordarci dei momenti difficili: nonostante tutto sto mettendo dei tasselli importanti nella storia del tennis». Basta avere pazienza e, presto o tardi, accadono cose meravigliose.
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