Juve con pistole ad acqua. Così è difficile bucare i muri. Juve stravagante: in quattro giorni segna dieci gol, in una partita spadella di tutto. Zero all'attivo, almeno otto occasioni buttate-sbagliate, ingiustamente o incredibilmente perdute, fate voi. Il conto non cambia e non torna. D'accordo, se trovi un portiere rigenerato gattone, dai riflessi spiritati, può capitare di non segnare. Ma, in questi casi, per quanto è bravo il portiere, altrettanto sono pollastri gli attaccanti. Non è uno scampanellio felice quello che accompagna la Signora all'ultima roulette russa di Champions: due colpi in canna e non può sbagliare mai il bersaglio. Buon per lei che il Chelsea ha cominciato a battere in testa. Abbordabile più del pensabile.
Ieri allo Juventus stadium, invece, è volato qualche fischio: più delusione che contestazione. La gente juventina si è trovata raffreddata nell'umido meteo e nell'umido calcistico. Soprattutto si è trovata a fare i conti con il dilemma che non fa invidia a nessuno: meglio metter fuori Quagliarella o Giovinco? La risposta sta nei fatti: la pulce per nulla atomica ha creato tre occasioni nel primo tempo, eppoi non ha fatto i conti con Marchetti. Ma almeno si è procurato la merce con giocate di astuzia e di abilità. Quagliarella ha calciato indifferentemente fuori della porta o addosso al portiere, scoprendone i miracoli e rimanendone abbagliato. Valga per tutte la parata più bella della partita al quarto d'ora della ripresa: tiro di Vidal, deviazione di Quaglia davanti alla porta e il portiere laziale, con quella faccia incorniciata da barba e capelli alla D'Artagnan, ha trovato reattività, istinto, lo scatto che gli ha fatto levar la mano a schiaffeggiar pallone e speranze bianconere.
Fino al quel momento la Juve aveva avuto quattro occasioni (inutile contare quelle laziali perché non ci sono state). Esperienza calcistica avrà fatto pensare che le cose si stavano mettendo male. Ed infatti la gente bianconera ha dovuto soffrire e penare ancora. Soprattutto vivere in eterna disillusione provocata dalle parate del portiere, dalla traversa pescata da Bonucci a porta vuota e dai tocchi mancati d'un soffio. Contate altre quattro occasioni chiare. Qualcuno penserà: mancava Vucinic, ancora una volta bloccato da uno stato definito influenzale (fisico perlomeno di salute cagionevole). Ma è difficile pensare che sia la soluzione di problemi che la Juve si trascinerà per tutta la stagione se non riuscirà a recuperare un Drogba o simil animal calcistico nel mercato di gennaio.
La Lazio ha giocata concentrata sullo stato difensivo: primo tempo in stile catenaccio con 5 centrocampisti, 4 difensori tutti molto stretti e ben messi per creare grattacapi. Ripresa un po' più vispa, a caccia di qualche colpo gobbo. Si, certo, in senso calcistico ci possono essere diverse accezioni del termine. La Lazio ci ha provato, anche se quel Klose solitario e ramingo costretto a colpi di lotta greco romana con Chiellini, faceva un po' pena. Sarebbe stato meglio nell'attacco juventino.
Al tirar delle somme, la Juve ha fallito la missione: centrocampo agguerrito ma poco fantasioso. Senza Pirlo è mancato lo sprazzo di qualità. Pogba oggi è una mezzala, non un play maker. In certi casi, se l'attacco dei pesi mosca non punge e non fa male, sarebbe meglio provare con i panzer o simil panzer, ma quelli sono rimasti troppo in panchina.
La Lazio, invece, ci ha preso su tutto: forse non bellissima, comunque perforabile in difesa e niente attraente nei giocatori di talento, ma ha provato a se stessa di tener botta ai campioni d'Italia.
Lo Juventus stadium inviolabile sta diventando un po' troppo violabile, almeno nei risultati. E, a dispetto dei silenzi di Conte e dell'auto incenso del post partita, si è riaperta la caccia. La lotta scudetto ritrova il bello dell'imprevisto. Potrebbero scricchiolare tante certezze.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.