
Milanello - Non è stata una banale visita al grande amore (il Milan) tormentato da ritardi, errori e risultati deludenti. Non è stato nemmeno un tentativo, suggestivo, di riportare indietro le lancette del tempo. Eppure c'erano tutti gli elementi: l'elicottero bianco con i piloti storici, l'arrivo sul far di mezzogiorno a Carnago, la stretta di mano e le foto concesse ai tifosi sistemati lungo la cancellata di Milanello, il «botta a risposta» con i cronisti sportivi e politici arrivati per l'occasione. È stato invece un ciclone Silvio Berlusconi, apparso subito in grande forma fisica («Vedete?, sono dimagrito, stamane ho fatto 72 flessioni» ha scherzato mostrando la cintura larga dei pantaloni), un ciclone di energia positiva e di motivazioni che ha rivoltato il Milan come un calzino, secondo antica e fortunatissima tradizione nella convinzione di poterlo rilanciare. Non stasera a Napoli magari ma nei prossimi mesi con un lavoro certosino che ha preso forma e sostanza ieri e che è destinato a durare nel tempo. «Sono tornato a occuparmi del mio amore visto che non ho più incarichi istituzionali» ha spiegato prima che il codazzo di agenti, guardie del corpo, carabinieri e accompagnatori lo scortasse dentro il collegio rossonero, un tempo frequentato con assiduità.
Non è mancata la scena, ripresa dalle tv, che sembrava fatta apposta per accreditare il gelo con Allegri e replicare quella famosa, avvenuta in un vertice con la Merkel: Silvio Berlusconi impegnato al telefono che ha tenuto lontano il suo allenatore. Spiegazione semplicissima e trasparente: era in linea con Adriano Galliani, trattenuto da un vertice con i dirigenti della banca che deve gestire il pagamento di Ibra e Thiago e non poteva raggiungerlo a Milanello. Proprio ad Allegri, Silvio Berlusconi ha dedicato tenera comprensione e parole di sostegno. «Nella tradizione del club non c'è l'esonero dell'allenatore. È accaduto solo due volte, con Tabarez e Terim» la spiegazione. Col terzo della serie, Alberto Zaccheroni, emarginato a marzo inoltrato, non ci fu mai feeling. «Con Allegri ho sempre avuto un buon rapporto, discuto di calcio come deve fare un presidente, poi tocca a lui l'ultima parola» il metodo applicato da una vita, fin dai tempi di Arrigo Sacchi.
Nella giornata dedicata in esclusiva al Milan, Silvio Berlusconi si è occupato naturalmente di calcio e di molto altro ancora. Ha pranzato con la squadra, ha confermato il suo no deciso alla difesa a 3 («una sola volta adottata, poi modificammo l'assetto e vincemmo lo scudetto nel '99», con l'inserimento di Boban dietro Weah e Bierhoff), ha dato lo scettro del leader a Montolivo («deve giocare alla Pirlo»), ha ammesso la sua passione per Balotelli («È vero, mi piace molto»), si è ritagliato il merito dell'arrivo di El Shaarawy («L'ho voluto io»), cui ha chiesto di «tosare» la cresta anche se «quella capigliatura lo rende più riconoscibile a noi vecchietti», ha requisito gli orecchini di De Jong e provato a convincere Robinho sull'opportunità di restare al Milan senza farsi sedurre dalle sirene brasiliane. «Ha ragione Rino Gattuso: serve battezzare 11 titolari e altri 11 che subentrano nei casi classici ma serve soprattutto recuperare il senso di appartenenza e lo spirito originario del Milan» la concessione, forse l'unica, alla malinconia del passato. Ecco il vero deficit che ha afflitto il gruppo: si è smarrito lo spirito del Milan berlusconiano. «In campo servirebbe un capitano come Rino» la frase che può suonare come una bocciatura di Ambrosini ma è di sicuro la fotografia del Milan di questi giorni. Pieno di ansie e di paure, frenato dall'effetto panico. Dove, per esempio, al contrario di quel che accadeva ai tempi eroici delle conquiste in giro per l'Europa, dopo una sconfitta invece di cogliere visi affranti e frasi avvilite, è possibile segnalare sorrisi e battute. A ciascun esponente del giovanissimo Milan, Silvio Berlusconi ha offerto consigli, rilievi, progetti e motivazioni, «li ho trattati come nipoti». Ha sollecitato Pato, definito «il più incedibile degli incedibili», a riprendersi in fretta, ad avere maggiore fiducia nei propri mezzi oltre che nel proprio fisico immaginando per il futuro un bel trio giovinezza composto dal Papero, Bojan e El Shaarawy. Ha convinto Boateng all'idea di tornare a giocare centrocampista e così via con tutti gli altri. Senza nascondersi dietro un dito per quel che riguarderà, a gennaio, il ricorso al mercato di riparazione. «Ha qualche soldo da prestarmi?» la battuta rivolta a uno stagionato cronista. Gabriel, il portiere, è pronto per andare a giocare stabilmente, Didac Vila per essere rilanciato dopo la guarigione (è andato in cura a Montecatini da uno specialista), altri sono i possibili arrivi per correggere anche qualche scelta «non proprio ideale» (Traorè). «Lasciatemi prendere in mano la situazione».
A provocargli «dolore da tifoso», solo il distacco del grande pubblico milanista dallo stadio. «In ventisei anni sono stati abituati a caviale e champagne ma è nei momenti di difficoltà che si coglie l'affetto del tifo» il suo appello al popolo rimasto a casa in queste settimane seguite alla cessione di Ibra e Thiago, mai abiurata. «Chi ha la testa sulle spalle non avrebbe mai rinunciato a una operazione da 160/170 milioni di risparmio in tre anni» il riferimento alla decisiva messa in sicurezza del bilancio. Solo così il Milan può risultare anche appetibile da investitori stranieri.
Come i cinesi («Per ora sono solo sponsor, quando avremo rilanciato il club se ne riparlerà» lo stato dell'arte) che hanno bussato alla porta. Con un Guardiola nel mirino, col quale non ci sono stati contatti diretti ma solo scambio di notizie attraverso un comune amico. La promessa è una sola: «Noi del Milan ritorneremo».