La squadra ha sbagliato l'approccio. La squadra ha staccato la spina. Allegri Massimiliano ha il suo bignamino per spiegare gli affanni della Juventus. Non entra nei particolari, vorrebbe prenderli a calci tutti così come sa strillare frasi volgari nei confronti dell'arbitro e dei suoi assistenti. Vive un momento critico, il primo da quando è a Torino. Tra qualche domenica dovrà affrontare il Sassuolo, forse gli tornerà in mente l'ultimo atto della sua carriera milanista. Oggi la Juventus è prima ma è stanca, affaticata dal non gioco, dal nervosismo, da un'eredità di cinque scudetti consecutivi e dal peso dell'eventuale sesto e, nel caso non dovesse riuscire a vincere, sa che sarebbe un fallimento. Sì, fallimento, perché ad una squadra così leggendaria sono stati aggiunti il migliore attaccante in circolazione, privandolo alla seconda classificata, Higuain e il Napoli, quindi il playmaker della Roma, Pjanic. Eppure, dopo cinque mesi di football la Juventus non ha un'identità, tra approcci e spine staccate, non ha un gioco vero, per lungo tempo Allegri ha goduto dell'eredità dei Tevez, Pirlo, Pogba, Vidal prima, o di Higuain e Dybala, dopo. Qualcuno sarebbe capace di ipotizzare la formazione bianconera per la prossima partita con la Lazio? Presumo nemmeno Allegri.
I conti non tornano, esistono due Juventus: quella solida, definita, della finanza, anche ieri celebrata a Milano da Andrea Agnelli e il suo staff, e, poi quella opaca, tecnica, una Juventus che sbanda, condizionata dai limiti di alcuni (molti) dei suoi attori. Non so se nelle prossime settimane Paratici e Marotta potranno portare a casa l'uomo o gli uomini capaci della svolta, la Juventus avrebbe i mezzi ma Allegri sarebbe capace di lasciarli da parte come con Pjaca, Pjanic e Rincon. Le responsabilità dell'allenatore e quelle dei calciatori, alcuni fuori giri (Chiellini, Bonucci), altri scarichi (Marchisio, Khedira) o scarsi (Sturaro, Hernanes) o distratti (Evra, Alves).
Juventus in testa ma senza testa, Juventus prima ma per modestia altrui. Un aforisma toscano dice: a un livornese ci vole cento lire pe' fallo omincià e mille pe' fallo smette. Qualcuno provveda a versare l'obolo, prima che sia troppo tardi.
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