Calcio

Stefano Tacconi: "Stavo morendo: salvato da mio figlio. Sono tornato in piedi per parare la luna"

Dopo l'aneurisma che lo colpì nel 2022 il grande portiere di Juve e Nazionale si è sottoposto a interventi e riabilitazione: «È dura, ma cammino senza stampelle»

Stefano Tacconi: "Stavo morendo: salvato da mio figlio. Sono tornato in piedi per parare la luna"

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«Tutti abbiamo una luna da parare: con l'impegno, il sorriso e un po' di fantasia, non ci sarà difficile raggiungerla».

Era il 1990 e Stefano Tacconi, oggi 66enne, uno tra i più grandi portieri italiani di tutti i tempi, scriveva questa frase per spiegare il senso di Ho parato la luna, cortometraggio che l'allora portiere della Juventus e della Nazionale aveva interpretato a scopo di beneficenza; un film quasi autobiografico di 50 minuti intriso di poesia.

Stefano, da quella pellicola sono trascorsi 34 anni.

«Fu un'iniziativa a favore del Centro Internazionale per la pace fra i Popoli di Assisi. È la storia di un bambino che sogna di diventare portiere e che da adulto ci riesce, toccando il cielo con un dito».

Praticamente è la fiaba di Stefano Tacconi. Una magia fatta non solo di trionfi sportivi, ma arricchita anche da un matrimonio felice. Moglie e figli meravigliosi. Nessuna nuvola. Fino a quella tragica mattina del 23 aprile 2022...

«Ero in macchina con mio figlio Andrea. Mi sono sentito male. Stavo per morire. Lui mi ha salvato».

Referto medico: «aneurisma cerebrale». Le prime indicazioni erano drammatiche.

«Dall'ospedale telefonarono a mia moglie dicendole: Preghi per suo marito...».

Ma per fortuna l'intervento andò bene.

«Le operazioni sono state due. Entrambe complesse».

Poi, scampato il pericolo, è iniziata la fase della riabilitazione.

«Durissima. Ho faticato in palestra come non avevo mai fatto prima. Ma non sono il tipo che molla. Ora cammino senza stampelle».

La malattia migliora umanamente le persone?

«Fa rimettere ordine nelle gerarchie della vita. La forza di non mollare e l'amore della famiglia sono fondamentali nel percorso di guarigione. È nei momenti tragici che comprendi i valori importanti dell'esistenza».

Lei è cambiato?

«Sono diventato più maturo. Prima dell'incidente mi sentivo immortale, ero convinto che nessuno potesse dirmi quello che dovevo fare. Invece se sono uscito dal tunnel è perché ho seguito le indicazioni di chi mi era accanto».

Di recente è tornato nell'ospedale piemontese «Santi Antonio e Biagio» dove il 22 aprile di due anni fa venne ricoverato in codice rosso. Ha riabbracciato il dottor Andrea Barbanera, direttore del reparto di Neurochirurgia dell'ospedale».

«Il mio angelo custode».

Com'è stato il Natale 2023 in casa Tacconi?

«Ho recuperato gli appuntamenti belli persi durante la degenza: ad esempio i 18 anni di mia figlia e il matrimonio di mia nipote. Lo dovevo alle tante persone che mi sono state vicine, ma soprattutto a una donna eccezionale: mia moglie».

È stata lei a portarla, per l'ultimo periodo di cura, nell'ospedale di Padre Pio.

«La fede, abbinata alla scienza, ha avuto un ruolo importante».

A San Giovanni Rotondo ha ricevuto la visita di tanti suoi ammiratori felici di rivederla in forma.

«Emozionante. Mi hanno dedicato uno striscione toccante. Ed è stato bello incontrali».

In tv è tornato il Tacconi che «non le manda a dire»... A Pressing, il programma sportivo di Mediaset, ha detto che «il Var ha paura di intervenire e, se lo fa, spesso fa solo casino...».

«Beh, il mio carattere non è cambiato. Quando c'è da esprimere un'opinione, non mi faccio pregare. Mai avuto peli sulla lingua. Coerente con me stesso, sincero e onesto con gli altri».

Non ha mai nascosto la sua indole «anarchica», fin dai tempi di Avellino, col presidente Sibilia.

«Con lui c'era poco da scherzare, ma io non ho mai smesso di essere me stesso».

Idem alla Juve, ma con Boniperti fioccavano le multe...

«Ma figuriamoci se le multe mi spaventavano...».

Nel corso della sua carriera è stato testimone di situazioni tragiche sotto il profilo sociale e sportivo: quando era ad Avellino ha vissuto il dramma del terremoto del 1980. Alla Juve era in campo la notte funesta della strage dell'Heysel.

«In questo anno di dolore personale, ho pensato spesso a quelle vicende terribili. La gente di Avellino mi è rimasta nel cuore e quella Champions macchiata di sangue continua a turbarmi».

Fu giusto giocare quella finale?

«No. Ma ci costrinsero a farlo».

Il campionato quest'anno sembra una corsa a due tra la «sua» Juventus e la solita Inter. Chi la spunterà?

«Giocano in maniera diversa. Ma vincerà chi avrà più tenuta psicologica».

Tacconi dovrà affrontare a breve un'altra operazione per una trombosi alla gamba. Dopo di che potrà definitivamente tornare a «parare la luna».

Auguri, Stefano.

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