Se il Milan non riesce a scaldare il cuore del popolo rossonero (ieri sera appena 13 mila paganti, stadio mezzo vuoto, pienone solo in curva e in tribuna d'onore dove Silvio Berlusconi si presenta scortato dalla figlia Barbara, dai nipotini e da Matteo Salvini, anteprima del vertice bolognese di oggi), un motivo deve pure esserci. E va di sicuro rintracciato nella qualità delle sue esibizioni domestiche che non sono molto diverse da quelle più recenti (Chievo per fare un riferimento), capaci di deprimere invece che esaltare le convinzioni del gruppo. La modestia della prima frazione è solo una conferma di limiti e carenze che una notte da leoni (contro la Lazio) non può certo cancellare a mo' di magia. E infatti il solo Montolivo cerca di rammendare un gioco che non decolla mai e anzi fa riemergere i fantasmi di un tempo passato. A inizio di ripresa, poi deve montare in cattedra un ragazzino di 16 anni appena, il portierino Donnarumma, per tenere la squadra in partita e per respingere gli artigli dell'Atalanta che pure in trasferta non è certo un'armata (8 gol subiti in tre precedenti viaggi).
Una, due, tre volte il bambino portiere mette i suoi guantoni a protezione della porta per salvare una difesa che improvvisamente imbarca acqua. Montolivo prova a rammendare gioco e geometrie che sono inabissate anche per il rendimento scadente, molto scadente, di Kucka (poi sostituito) e di molti altri, a cominciare da Romagnoli per finire allo stesso De Sciglio. I metodi di Mihajlovic non sono bruschi e brutali solo con i senatori (Diego Lopez per esempio). Lo sono anche con i ragazzi di primo pelo, come De Sciglio, rimasto sotto la doccia all'intervallo perché appesantito da un giallo oltre che stordito dalla velocità di Gomez. Al suo posto c'è Calabria, esponente della cantera rossonera (il prossimo sarà Locatelli: dixit Galliani) che debutta con una scivolata sulle caviglie dell'agile atalantino di dubbia interpretazione (sospetto rigore insomma). I cambi successivi effettuati dalla panchina rossonera (Luiz Adriano e Honda) invece di far quadrare il cerchio provocano altri spaventosi sbandamenti collettivi e impoveriscono ulteriormente il gioco che resta saldamente nei piedi e negli schemi della Dea. L'unico lucido, Niang, rientrato dopo 96 giorni (4 agosto frattura del quinto metatarso del piede destro), può produrre qualche affondo, un paio di volate come si deve prima di arrendersi alla stanchezza oltre che alla rasoiata di Pinilla (fallo da rosso retrocesso in giallo da Giacomelli che non è proprio un'aquila). Dopo il francese con uno strano disegno in testa, l'ingresso di Luiz Adriano (salvataggio sulla linea) rianima un attacco capace solo di avanzare a testa bassa, senza uno schema, un punto di riferimento perché più avanti anche Montolivo si perde nei ghirigori. La discussa Atalanta formato export può così fare un figurone per quasi tutta la sera fino a meritare qualcosa di più dello striminzito pareggio raccolto in fondo alla serata. Il lampo di Roma, contro la Lazio, resta un lampo nella notte di una squadra senza né capo né coda e per la quale le sparate di Mihajlovic (contro i critici severi) non sono giustificate. «Milan da scudetto o da Champions?» chiedono al presidente prima di cominciare e la sua risposta, misurata («deve dare il massimo»), è il segno che nemmeno ad Arcore si fanno troppe illusioni sul conto di questo gruppo e di questo allenatore espulso, per proteste eccessive, a pochi minuti dai titoli di coda.
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