Steccata anche la seconda: il robot vuole tornare normale

Pellegrini quinta nei 200 stile libero fa autocritica: "Sono arrivata fuori forma". È rimasta ferma, mentre le rivali sono cresciute. Ora si dedicherà alle sue passioni

Chiudiamo il libro, mettiamoci il segno e proviamo a rileggerlo fra un paio d'anni per vedere l'effetto che fa. La musica è finita, Federica Pellegrini forse no. Ha chiesto di attendere un paio d'anni prima di raccontare la storia della regina dai tacchi a spillo. Federica ha salutato così il regno delle sue meraviglie. Tutto cominciò con quei fantastici duecento metri di Pechino, senza dimenticare lo schiocco di frusta di Atene. Oggi quel quinto posto, conquistato senza il regale distacco di una regina ma con l'annaspante affanno di una comprimaria, è il campanello d'allarme che qualcosa non va. O forse non va più. Si era capito nel giorno dei 400 stile libero. Ieri la conferma. Anche per lei che forse s'era illusa. «Ma se non ho limato nulla al tempo delle semifinali, anzi ho peggiorato, significa proprio che non sono arrivata qui in grande stato di forma: c'è stato qualcosa di sbagliato». Non proprio un'accusa all'allenatore, come quelle rifilate dal fidanzato suo, tipico italianaccio (purtroppo per noi) ultras, piuttosto una consapevole presa di coscienza e qualche dubbio consegnato con levità ala valutazione di tutti.
Non era difficile pensare che questa Olimpiade sarebbe stata più dolorosa e meno godibile di quella cinese, ma la differenza l'ha fatta proprio lei. Le avversarie sono cresciute, Fede si è fermata. Anzi, a rigor di tempi, è andata indietro. In entrambe le sue gare è sembrata impotente: vorrei ma non posso. Michelone Phelps insegna che anche i superman subiscono il logorio del nuoto moderno. Sette minuti dopo Federica, Michael è affondato a modo suo: vincendo una medaglia, ma non quella d'oro proprio nella gara (200 farfalla) che ha lanciato la sua leggenda.
Quella della Pellegrini è stata una gara-non gara, pessima all'avvio, sempre in retrovia. Ancora una volta ha provato il volo finale. Ai tempi le riusciva con facilità, quasi fosse normale mettere il turbo e lasciar dietro le altre. Stavolta è riuscita appena a riconquistarsi un quinto posto che fa ambo con quello dei 400, ma fa flop se il punto di riferimento resta sempre una medaglia. Non è un flop perché la sua stagione aveva già dato indicazioni. Semmai è la presa di coscienza di una campionessa che ci lascerà nome e conquiste nel libro che andremo a rileggere fra qualche anno. Se poi sarà così brava da recuperare il tempo perduto, tutti potremo goderci la rinascita. Nello sport è facile perdere, molto più difficile rinascere. Specie quando contano tempi e gioventù.
Il nuoto ti spreme fin da giovane, ti toglie energie e vita in quel monotono lottare contro la riga della piscina, il cronometro e la testa che non può pensare ad altro. Federica lo ha spiegato a se stessa, prima che agli altri, e ieri ha ripetuto la sessione di autoipnosi, a fine gara, davanti ai giornalisti. Ha annunciato che non cambierà tecnico, piuttosto tipo di vita. Si dedicherà ai piaceri spiccioli: andrà a sciare, studierà inglese, andrà all'università, farà qualche gita senza pensare all'allenamento. Una vita normale, forse quel che manca a ragazzi trasformati in robot dallo sport e dalla necessità di correre dietro al record e al successo.
Ieri Federica ha sfiorato il record della più vecchia (sorry, classe 1988 mica una trentenne) della compagnia della finale. Solo l'inglese Caitlin Mc Clatchey aveva tre anni di più. L'inglese è finita settima, la nostra si è vista sfilare da un'americana due anni più giovane e meno medagliata di lei, dalla “camillina” Muffat (un anno in meno ma alla prima Olimpiade), dall'australiana Barratt che fa pari con la Muffat negli anni ed è sempre stata una outsider e dalla superwoman Usa Missy Franklyn, 17 anni di energia ieri sera mal sfruttata.
Allison Schmitt ha preso la testa della gara ai 100 metri e non l'ha più mollata. La Pellegrini è risalita dal settimo posto al quinto, ma poi guardando i tempi ha capito quanto fosse più marcata la differenza del crono rispetto a quella degli anni: un altro segnale del suo prosciugamento fisico. L'americana le ha rifilato tre secondi («Non avrei mai fatto quel tempo: andava troppo forte»), il nuoto, il suo nuoto, una delusione più pesante. Ma il tempo corre rapido non solo nel cronometro.

Per capirlo basti guardare la finale che oggi andranno a disputare i maschi dei 100 stile libero: un mappamondo di otto nazioni, un cubano a sorpresa e una new generation. Il campione di Pechino, Alain Bernard, è finito nel nulla. Federica c'è ancora: ammaccata, battuta, ma non domata. Il tempo dirà.

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