Nel nome del padre, parte 2. La prima, peccato se ve la siete persa, era andata in scena ad Adelboden, lo scorso 9 gennaio. Johannes Strolz, figlio di quell'Hubert famoso negli anni Ottanta e Novanta per aver conquistato 34 podi di Coppa del mondo in quattro diverse discipline senza mai la gioia di una vittoria, quel giorno vinse lo slalom partendo con il pettorale 38. Incredibile, visto che in dieci anni di carriera l'austriaco di quasi 30 anni non era mai andato oltre la decima posizione!
Ed ecco il secondo tempo del film, ancora più emozionante. Perché Johannes, convocato all'Olimpiade grazie a quella vittoria, viene schierato dagli austriaci in combinata, disciplina praticata con discreto successo in passato, ma in gare minori. Per la prima volta al via in un grande evento, il figlio d'arte vince la medaglia d'oro, la stessa che il papà aveva conquistato a Calgary nel 1988.
Velocissimo in discesa (4° tempo) e perfetto in slalom, Johannes ha messo dietro tutti i favoriti, da Kilde a Pinturault, da Schwarz agli svizzeri. Per convincersi di aver vinto ha aspettato anche l'ultimo cinese, finito a quasi trenta secondi. «Vediamo, vediamo, aspetta», continuava a ripetere a Kilde che gli diceva di rilassarsi, perché ormai l'oro era sicuro. «Finora nella mia carriera avevo sempre e solo preso cazzotti sul muso», aveva detto ad Adelboden dopo la vittoria che gli aveva cambiato la vita.
Fino a quel giorno, Johannes aveva dovuto lottare per riuscire ad allenarsi (l'Austria lo aveva escluso dalle squadre nazionali) e per essere convocato alle gare. Quando ci andava doveva prepararsi gli sci da solo, perché nessuno gli pagava uno skiman. Ora che è campione olimpico cosa cambierà? «Nulla, ma siamo sicuri che non ci sia un errore?».
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